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E’ morto Padre Marcello Birarelli, missionario di Ostra che ha dedicato la vita ai più poveri

E’ morto Padre Marcello Birarelli, missionario di Ostra che ha dedicato la vita ai più poveri

OSTRA – Nella tarda serata di giovedì 15 novembre ha lasciato la vita terrena, dopo lunga malattia, Padre Marcello Birarelli. Era nato a Casine di Ostra (località Montirano) e lasciò giovanissimo la famiglia per seguire la sua vocazione e diventare frate francescano.

Negli anni ’70 partì come frate missionario per il Nord dell’Argentina nella parrocchia di Monte Quemado in una zona estremamente povera.

Nella sua missione, durata circa 30 anni, ha lasciato non solo un vivo ricordo nella popolazione ma anche numerose opere che ancora oggi mostrano in modo indelebile il suo passaggio: una scuola dove ai ragazzini più poveri veniva assicurato almeno un pasto al giorno, delle chiese sparse nel vasto territorio, un aiuto a livello più ampio alla popolazione, specie alle persone più indifese, e soprattutto il messaggio di Cristo nella sua opera di evangelizzazione.

Al ritorno in Italia fu assegnato in un primo tempo alla Parrocchia delle Grazie a Senigallia, poi alla comunità francescana di Falconara ed infine a Potenza Picena. Purtroppo ben presto i problemi di salute sempre più seri ed evidenti lo hanno costretto negli ultimi anni al ritiro dalla vita pastorale attiva, trasferendosi presso una struttura dove potesse ricevere le necessarie cure mediche.

La salma è stata portata oggi nel Convento di Santa Maria Apparve cui era particolarmente legato e dove celebrò la sua prima messa dopo la Consacrazione. Presso la stessa chiesa si svolgeranno i funerali domani, sabato 17 novembre, alle ore 14:30.

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Ecco quanto ha scritto, in memoria di Padre Marcello, il nipote Luca Birarelli:

Questa sera ci ha lasciato mio zio, Padre Marcello Birarelli. Aveva avuto la vocazione da piccolo e da giovane lasciò la casa di Montirano (nelle campagne di Casine di Ostra) per iniziare gli studi, fu il solo della famiglia a studiare. Negli anni ‘70 partì con la nave da Genova per andare in missione nel Nord dell’Argentina dove gli fu assegnata una Parrocchia a Monte Quemado, probabilmente una delle zone più povere di quello Stato. Territorio molto vasto che si estendeva anche nella selva, gente povera e sottomessa ai potenti della città, scarsissima istruzione, una fede mista a superstizione che si intrecciava con le credenze locali.
In poco tempo divenne subito molto amato dalla popolazione, l’opera di evangelizzazione non poteva prescindere anche da un aiuto concreto alla popolazione, in particolare alle figure più deboli, le donne ed i bambini. Le famiglie erano molto numerose e i gli uomini pensavano più all’alcool che a fare i mariti ed i padri, con le donne spesso abbandonate alle proprie responsabilità. Ci diceva come, almeno nei primi anni, fosse difficile spiegare alla gente la preghiera “PADRE NOSTRO”, se Dio era come il padre, non era proprio un bell’esempio di vita.
Ci raccontò di come fece il suo primo orto, era figlio di contadini e cercò di insegnare a coltivare meglio la terra e dato che in quel posto bruciato dal sole pioveva pochissimo si mosse con le autorità per fare portare l’acqua che arrivò dopo anni grazie ad un canale che a loro sembrava una sorta di piccolo fiume. Il giorno dell’inaugurazione fu una grandissima festa per tutti.
Costruì, dopo poco, una nuova Chiesa bella ed abbastanza grande per la Parrocchia per accogliere i tanti fedeli alle funzioni religiose. Successivamente eresse altre 6 chiesette più piccole sparse nel suo vasto territorio, la gente non aveva di che muoversi, spettava a lui andare con un vecchio fuoristrada Ford che gli aveva fatto avere il Vescovo. In alcune di esse riusciva ad andare solo sporadicamente tanto erano distanti, con strade sconnesse ed impervie.
Le risorse per fare tutto ciò erano le offerte che riusciva a reperire qui in Italia, la gente si fidava vedendo quello che mano a mano riusciva a fare, ogni 4 o 5 anni in genere tornava e lui sfruttava questi suoi rientri anche per questo (il suo senso pratico ed il cambio vantaggioso Lira-Dollaro-Peso lo aiutarono molto).
Dopo qualche anno decise di fondare una scuola che funzionasse davvero, quella statale non era un granché e non tutti potevano frequentarla: come difficilmente si riesce a pregare se si soffre la fame, così difficilmente una popolazione si può evolvere senza una adeguata istruzione.

Venne costruita una scuola, pezzo dopo pezzo, alla fine era davvero bella, funzionale ed accogliente (con una piccola palestra, un palco per le rappresentazioni teatrali e manifestazioni ed una mensa dove veniva assicurato almeno un pasto a tutti i bambini, anche quelli che non se lo potevano permettere).
Nei primi anni i maestri erano pagati direttamente dalla Parrocchia (quindi servivano altre offerte per finanziare questa opera molto importante), poi la Stato riconobbe la bontà e l’efficacia dell’opera ed acconsentì di pagare gli insegnati che divennero dipendenti statali o qualcosa di simile. Se non erro in poco tempo la sua scuola diventò la più importante della città, ben curata nella struttura ed anche nei dettagli, come il giardino ed i fiori a rendere il tutto più bello.
Pian piano parte della popolazione, acquisì maggiore consapevolezza, iniziò a cambiare mentalità e questo dava molto fastidio ai signorotti del luogo, quelli che avevano in mano le poche attività economiche ed avevano da sempre sfruttato la popolazione, abituata a vivere tra ignoranza e sopraffazione, incapace anche solo a pensare a fare valere i propri diritti.
Con il tempo il connubio tra potere economico e politico divenne più forte, la corruzione salì a livelli inaccettabili ed anche la polizia era succube di chi aveva più potere e più denaro.
I soprusi, che prima erano solo ingiustizie, aumentarono fino alla delinquenza vera e propria con giovani assoldati al servizio dei potenti locali per fare rispettare quello che per loro era un sistema vantaggioso e controllabile.
Fu per un caso, a seguito dell’omicidio di una ragazza del luogo il cui corpo fu fatto sparire e dato in pasto alle belve, caso che all’epoca arrivò anche nel Parlamento, che fu arrestato un importante politico locale e fra i suoi documenti segreti trovarono il nome delle persone scomode che sarebbe stato opportuno fare “sparire”: su questa agenda compariva anche il nome di mio zio Marcello.
Penso che negli ultimi tempi fosse sempre più consapevole di questo maggior pericolo e credo che, una volta, lo avessero anche malmenato, ma si guardò bene di dirlo a noi parenti che stavamo in Italia per non farci preoccupare, come non ci aveva detto che era stato in ospedale ed era stato operato per non so bene cosa.
Nel ’98 io e Lucia chiedemmo a zio se poteva rientrare in Italia, saremmo stati felici fosse stato lui a celebrare il nostro matrimonio. Acconsentì con l’accordo che poi lo avremmo riaccompagnato in Argentina nella sua missione e così facemmo. Mi ricordo bene le ultime centinaia di chilometri di strada incredibilmente tutta diritta fatti con la macchina scassata di un suo parrocchiano che per arrotondare faceva una sorta di tassista.
Appena arrivammo la gente lo attorniò e ce lo portò via, perché in quelle settimane in cui era stato assente c’erano stati vari problemi e serviva che lui facesse qualcosa per loro, c’era stato anche un arresto e dovette andare a parlare con la Polizia.
Nei giorni seguenti ebbe modo di mostrarci la scuola di cui andava particolarmente orgoglioso (alcuni ragazzi che avevano studiato lì erano diventati maestri ed avevano deciso di insegnare da lui), la bella chiesa a fianco della sua casetta parrocchiale ed altre chiesette più piccole distanti vicino al bosco.

Avemmo modo di stare un po’ con la sua comunità, toccai con mano l’amore e l’enorme considerazione che i suoi parrocchiani avevano per lui e questa cosa credo gli sia mancata tantissimo al suo ritorno in Italia, dove era ritornato a fare il semplice frate.
Altra cosa che temo lo avesse spiazzato era riconoscere con difficoltà la terra che aveva lasciato. Tornare in Italia, dopo circa 30 anni vissuti in un paese più arretrato, aveva fatto sì che si sentisse come un pesce fuor d’acqua, distante non decenni ma secoli da quello che aveva lasciato.
E non solo per l’aspetto tecnologico, ma anche per l’approccio e la sensibilità delle persone.
Mi ricordo quando andammo in un centro commerciale per comprare un telefonino per lui, al momento di pagare alla commessa disse che era un frate missionario di ritorno dalla missione. Probabilmente 30 anni prima la commessa gli avrebbe fatto uno sconto, o addirittura regalato il telefonino, come le altre persone o negozianti che tante donazioni gli avevano fatto generosamente anni addietro. La commessa non capì e spiegai a zio che bisognava pagare per intero la cifra, oltretutto lei era una semplice commessa….
E’ notte e faccio fatica ad addormentarmi, mi tornano in mente tantissimi ricordi e così ho deciso di scrivere di getto qualcosa per ricordare zio Marcello, Padre Marcello Birarelli, che tante persone ricordano con affetto ed a cui sono molto legato.
Prega e veglia su noi zio.

 

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