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Amanti Piccanti, a Trieste una mostra fotografica di Daniele Duca a cura di Enzo Carli

Amanti Piccanti, a Trieste una mostra fotografica di Daniele Duca a cura di Enzo Carli

Amanti Piccanti, a Trieste una mostra fotografica di Daniele Duca a cura di Enzo Carlidi ENZO CARLI

TRIESTE – Daniele Duca è uno degli Autori italiani di fotografia contemporanea più versatili e creativi; le sue immagini tra identità e memoria sono un armonioso compendio di forma e contenuto.

In un immaginario  set cinematografico, ambiente peraltro a lui congeniale e affine alla sua professione, matura la sua ricerca, ponendo le premesse per una fotografia pura estranea  da residui o contaminazioni di maniera. E’ una fotografia essenziale, grafica, informale e mondana quanto basta per soffermarsi sull’oggetto, non solo pretesto ma prodotto della nuova civilizzazione iconica. Una visione esclusiva, affascinante, dove la stessa fotografia attinge alla storia della sua provocazione.

La fotografia di Duca sublima questi oggetti di uso comune, privandoli della banalità dell’osservato. Un recupero gestaltico dell’oggetto e delle sue funzioni originarie e simboliche, accentuato dall’epos dell’Autore che, proteso alla ricerca del fascino essenziale, toglie orpelli dell’anonimato, a favore del design e della funzione. Duca opera una decontestualizzazione dell’oggetto e una traslazione di significato, dilatata dalla collocazione spaziale ed accentuata dalla caratterizzazione foto-grafica dell’indistinto, del movimento ne del chiaroscuro che, unite alla particolare posa ed angolazione di ripresa, contribuiscono ad una sorta di animazione dell’inanimato

Marcello Verdenelli  sostiene che le immagini di Duca oscillano abilmente tra una dimensione, come dire, più popolare, più arcaica, più istintuale e una dimensione invece più lavorata, più razionale, più controllata. Un senso di calda e quasi avvolgente sensualità, favorito da una luce sempre tagliente e densamente espressiva, cade su quei peperoni che diventano improvvisamente pura e intensa energia.

Nella sua elaborazione le immagini sono il risultato di una serie di procedure che trascendono la rappresentazione e si spingono verso una nuova oggettività dove gli estetismi raffinati della composizione trascendono la raffigurazione stessa a favore di uno spazio ideale di poetica visiva.

C’è un elemento che balza immediatamente agli occhi scorrendo l’ultima produzione artistica di Daniele Duca dal significativo quanto ammiccante titolo “Amanti piccanti”: il rarefarsi del registro referenziale del peperone inteso semplicemente come ortaggio in un qualcosa di simbolicamente e culturalmente più complesso, articolato, con evidenti, almeno così a noi sembra, risvolti di natura antropomorfa. Quelle di Duca sono infatti immagini che alludono, in un crescendo narrativo che affonda chiaramente le radici nella ricca tradizione popolare del peperone, a un senso della passione, quello che si inscrive naturalmente nella carne, e dunque nei corpi, e che le immagini riescono nel loro convincente montaggio artistico a rendere in una stilizzazione sempre ben resa e rappresentata. Perché si tratta, a ben guardare, principalmente di un racconto d’amore fatto di sequenze, di posture, di scene felicemente sorrette da un senso quasi naturale della teatralità. Si badi: una teatralità mai invadente, posticcia, sfacciata, ma resa in perfetta sintonia con la fisiologica natura di quei corpi, colti in un contrappunto ritmico primordiale, e proprio per questo sempre accennato e mai finito.

Condizione che dà a quei corpi, a quelle rese antropomorfe una patina quasi di elegante, ma solo apparente, classicismo. Non è difficile infatti leggere in quelle immagini forme, silhouette umane, antropomorfe, sia pure a frammenti, in una dispersione quasi protesica, soprattutto un lui e una lei, ma non solo, là dove si respira in alcune di esse anche una certa impaginazione più corale, che Duca sa rendere con una forza, una intensità, una capacità quasi scultorea, plastica, sfruttando abilmente certi fasci di luce che cadono, come generose intuizioni, su quei significativi frammenti, brandelli di vita, su quelle forme appena abbozzate, accennate, eppure così intensamente cariche di senso. Per cui i peperoni risultano alla fine dei semplici pretesti, o anche delle semplici occasioni di partenza per una costruzione artisticamente molto più complessa, al limite quasi della pura astrazione poetica, quella che catapulta immediatamente l’osservatore dentro una affascinante quanto insolita grammatica amorosa, facendolo sentire a tutti gli effetti una sorta

Daniele Duca lascia il percorso della memoria breve per addentrarsi  in un progetto a lui caro, quella della ricerca delle forme, volumi e spazi, la dimensione della sua originaria “oggettivazione” (1). Intendiamoci l’autore ci propone la sua particolare visione del mondo, testimoniata dal punto di vista della sua ricerca fotografica, utilizzando come soggetti protagonisti, peperoni (amanti piccanti- ma non troppo-) che muove ed elabora con il filtro della propria coscienza e capacità  per nuove e animate fotografia; immagini   elaborate, formali a volte evocative o ludiche o carnali ( o tutto questo), che ne alterano la connotazione  di forma  per perdersi in un labirinto di riporti emotivi.

Daniele Duca con originalità creativa, privilegiando la sua esperienza grafica, sonda il collegamento tra ambiguità della realtà e del suo significato ed elabora un proprio codice semantico, marcato dalla animata serialità della rappresentazione. Daniele Duca elabora un proprio statuto ontologico, cerca la sua realtà per produrne  i linguaggio segreti, coglie nel paradosso una visione  per produrre attraverso una serie di immagini strutturate, una decisa obiettività avversa all’inevitabile corruzione della raffigurazione. La fotografia è quindi vista come detentrice di un potere espressivo che i suoi mezzi sofisticati e le pratiche professionali si esprime in fondamenti linguistici, tra segni spazi e volumi che sono il riflesso della nuova integrazione, dove la componente raziocinante si allea con quella estetica per mutuare frange di equivocità, generando un quoziente estetico, quello del volere/valore, del fascino della visione, che attutisce l’urto continuo degli stereotipi del linguaggio visivo multimediale.

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AIM , Alinari Image Museum

Inaugurazione 1 settembre

Bastione Fiorito del Castello di San Giusto, Trieste

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