CULTURASENIGALLIA

Pastorale americana: gli Stati Uniti d’America secondo Philp Roth, ne parla a Senigallia il Gruppo di lettura

Pastorale americana: gli Stati Uniti d’America secondo Philp Roth, ne parla a Senigallia il Gruppo di lettura

di LUCA RACHETTA

SENIGALLIA – Pastorale americana (1997) di Philip Roth è il primo capitolo della cosiddetta trilogia americana, il cui racconto è affidato a Nathan Zuckerman, il personaggio-narratore che regge le fila dei tre romanzi (gli altri due sono i successivi Ho sposato un comunista e La macchia umana) grazie alla sua ricostruzione attenta e documentata dei fatti. Un lavoro da cronista di storia contemporanea, quello di Roth, che non a caso valse a Pastorale americana il Premio Pulitzer per la narrativa.

Pastorale americana, nei temi trattati e nella volontà di consegnare al lettore un ritratto storico in divenire della società statunitense dalla Seconda guerra mondiale agli anni dello scandalo Watergate, ci appare come l’opera della maturità di un autore sessantenne già affermato (che sul finire degli anni ‘90 aveva tuttavia davanti a sé ancora vent’anni di vita e di carriera) che voglia stilare un bilancio della propria esperienza di uomo e di cittadino, ma forse anche testare la propria competenza di scrittore, se è vero che è proprio a quest’ultimo che viene affidato il compito, come sempre, più arduo: mettere ordine negli eventi sociali e nelle vicende umane e incanalarli nel flusso di una comunicazione chiara, efficace e stilisticamente godibile, ricca non tanto di certezze quanto di spunti di riflessione che possono essere sviluppati in diverse direzioni.

E in effetti le chiavi di lettura di Pastorale americana sembrano davvero molteplici. Ad un primo livello troviamo nelle pagine del libro la storia di Seymour Levov, bellissimo e valentissimo ebreo di pelle chiara che si libera di ogni marcata connotazione etnico-religiosa e finisce con l’incarnare, assieme alla propria famiglia di imprenditori illuminati e medio progressisti, il modello del perfetto americano alla Kennedy o, ancora meglio, alla Lyndon Johnson; lo Svedese, come viene chiamato il protagonista, diventa così l’alfiere dell’ottimismo americano, della fiducia nei presupposti di giustizia e di democrazia di un sistema politico e sociale che rasenta la perfezione, che perpetua un insieme di valori orientato nel senso dell’attivismo imprenditoriale e capitalistico screziato di umanità e di solidarietà per le categorie più deboli.

Proprio come le figure di un componimento pastorale, i personaggi del romanzo si caricano di significati assoluti, simbolici, come se fossimo catapultati nella dimensione assoluta del mito, dove tutto è chiaro come in illo tempore. In tale ottica lo Svedese rappresenta la buona fede di chi crede nel modello americano, quello dello scudo a stelle e strisce di Capitan America che combatte il nazismo e poi il comunismo, che non vede i propri limiti e la propria incapacità di adeguarsi al mutare dei tempi; la figlia dello svedese, Merry, si qualifica dunque come la personificazione della contestazione al patrimonio etico e culturale dei padri (la sua balbuzie, ossia l’incepparsi della parola, è la critica implicita alle certezze dello Svedese, per cui tutto, compresa la parola, deve scorrere senza dubbi e tentennamenti), sterile in quanto vuota di valori alternativi da adottare, che imbocca, una volta esaurita la fase di protesta al sistema (Lyndon Johnson è difatti il bersaglio polemico di Merry fin da giovanissima), la via della mortificazione e dell’espiazione proposta dalle filosofie new age; la moglie dello svedese, Dawn, sceglie l’oblio del dolore recatole dalla perdita della figlia e dall’insoddisfazione per il tipo di esistenza condotta fino all’età matura, rifacendosi una vita tanto attiva quanto superficiale con la stessa facilità con cui si fa il lifting al viso, che è, appunto, la superficie della persona, la sua mera apparenza; il fratello dello Svedese, Jerry, raffigura infine l’accettazione venata di critica e di perplessità, il dissenso che rimane silenzioso fino a quando è la cancrena del sistema, il suo inesorabile stato di malattia a dargli il coraggio di aggredirlo:

– Credi di sapere cos’e un uomo? Tu non hai idea di cos’e un uomo. Credi di sapere cos’è una figlia? Tu non hai idea di cos’è una figlia. Credi di sapere cos’è questo paese? Tu non hai idea di cos’è questo paese. Hai un’immagine falsa di ogni cosa. Sai cos’è un guanto, cazzo. Ecco l’unica cosa che sai. Questo paese fa spavento. Certo che l’hanno violentata. Che razza di gente credi che frequentasse? Certo che là fuori l’avrebbero violentata. Questa non è Old Rimrock, vecchio mio. Tua figlia è là fuori, vecchio mio, negli Stati Uniti d’America. Tua figlia entra in quel mondo, in quel mondo demente che c’è là fuori, con quello che sta succedendo laggiù…

Vale dunque la pena, a un mese dalla scomparsa di Philip Roth, di rileggerne o scoprirne l’opera proprio a partire da Pastorale americana, autentico monumento della poetica dell’autore statunitense. Il “Gruppo di lettura Senigallia” lo farà martedì 19 giugno, in occasione del suo incontro mensile, con un reading dedicato al capolavoro di Roth.

 

 

 

Ag – RIPRODUZIONE RISERVATA - www.laltrogiornale.it