CULTURAMARCHE

“L’albergo dei morti” un ottimo libro di Fabio Dainotti

“L’albergo dei morti” un ottimo libro di Fabio Dainotti

di TIBERIO CRIVELLARO

Sarò impopolare se insisto sulla poesia, quella con la P maiuscola. E insisto su poetesse e poeti che cavalcano le onde di mari esistenziali tra angosce stagionali e gli itinerari della feconda mente viaggiando da guasconi.

Mica è occasionale scrivere sulla raccolta “L’albergo dei morti” (Manni editori) di Fabio Dainotti, nostromo dei ricordi, O meglio, Capitano di lungo corso. Nota Nicola Miglino (nella postfazione): “La poesia nacque a fronte di un’infanzia difficile (di Fabio Dainotti), calato dal nord su una collina ginestre di un paese campano con promontorio sul mare”.

Quel mare sottostante la collina dove un Fabio adolescente si lasciava sedurre da autori quali: Camillo Sbarbaro, dal Corazzini, e sopra tutto dall’immenticabile “Battello ebbro” di Rimbaud con le onde che lo “cullano” per ebrietà poetica. Perché certa poesia aulica ubriaca certi lettori seppur astemi, magari a introdurre i versi: “Porta il poeta come una condanna/ il volto che si volge lacrimando,/ sogna l’inesprimibile chimera,/ che lontana/ ama…/ O: “Verde smeraldo al largo, color sabbia/ verso la riva; mare, ti divide/ la striscia bianca che vieta il sorpasso”.

Sogni, ma anche disincanti adolescenziali ne “L’albergo dei morti” con i molteplici affetti per i famigliari suoi e gli invitabili vitali innamoramenti. E con quel ritratto di Regina: “Da bambina salivi/ gli scalini di marmo/…cantando una tua canzoncina,/ con la sorellina/ Regina, detta Gina, litigavi,/…e poi a scuola./ Con la tua festicciola/ e la cartella nuova./ Rimando con spartito musicale (…) Ora che stai distesa col bel viso cereo,/ che scompare nel teschio,/ non ti potrò vedere, ne parlare,/ mai più,/ perché sei morta per sempre”. Prosegue “l’archivio dei morti”, a Rosanna: “A volte penso alle sue guance esotiche/ smunte, da vietnamita/ come a cascate di luce o a strelitzie.// Avvolte/ di crisantemi immemore,/ Corro dietro al mio amore./ E il bell’esempio che potrebbe ricordare il Carducci in “Funere mersit acerbo”, il bimbo che: “,,,avanza a stento un bimbo/ sul clivo autunnale.(…) Mi chiedo dove andrà./ Andrà ancora per poco:/ lo spettano più in là/ i compagni di gioco.” E una bimba solinga: “Veste una seta azzurra che la brezza, entrando/ dalla finestra e dalle tende, agita./ Fuori una grande pace è nel giardino./ Sola una bimba gioca,.., tra ombra e sole./ Agli uccelletti, cui sue miche tira,/ parla; e s’adira.” Il mare, la eco dell’onda, culmina in qualcosa di a-lune attraverso i passati “anni di piombo” (battaglia perduta che bisognava vincere?), è “Cimitero marino”: “Mia madre, il generale,/ (…) ha prenotato ieri, una cappella/ al cimitero; non di campagna;/ rivierasco: costiera cilentana.// Laggiù son cresciuto,/ tra le colline e il mare,/ coi miei fratelli, con la mia cavalla/ (…) Laggiù i primi amici…// Le mie prime letture, i primi sogni,/ i primi amori, sfortunati, i primi/ versi…”

Laconicamente meravigliosi. Al Maestro Fabio Dainotti, allora, va anche riconosciuto il dono dell’umiltà. Dote rarissima nei poeti di questo amaro tempo. Tempo becchino?

FABIO DAINOTTI

L’ALBERGO DEI MORTI

Manni editori

 

 

 

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