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Sant’Angelo in Vado in lutto per la scomparsa di Nazario “Jaio” Antonini

Sant’Angelo in Vado in lutto per la scomparsa di Nazario “Jaio” Antonini

SANT’ANGELO IN VADO – La Massa Trabaria tra il II e V secolo fu spadroneggiata dai Visigoti e Ostrogoti che venivano dal lontano estremo est. Questi se la videro con i Longobardi, fino a che sbarcarono, nelle coste, i Bizantini che duellarono con le orde venute dal nord. Il nostro sangue è un misto tra il selvaggio e la fantasia, tra il concreto ed il sogno. Ce lo portiamo addosso da generazioni.

Il preludio mi è basilare per parlare di un giocatore vadese, Nazario “Jaio” Antonini, 64 anni. Ci ha lasciato tutti più soli. I funerali, secondo ordinanza dei palazzi romani, si sono svolti in forma strettamente privata il 2 maggio. Un mese che sembrava etichettarsi di speranze e di ritorno alla normalità dopo l’ennesima invasione delle nostre ed altrui terre da parte di un virus invisibile e terribile che ha distrutto anche le lacrime ed il dolore di ognuno. Sono rimaste solo le anime solinghe.

Degli addii c’è stato solo un flebile e veloce saluto. Così è stato per “Jaio” alla cui dipartita si è inchinata la comunità vadese, capitale, anticamente, della Massa Trabaria. “Jaio” ne è stato un fiero cantore da quattro cantoni perché sapeva occupare ogni posto, ogni spazio all’interno della collettività: un altruista baciato dalla generosità.

Ne aveva per tutti: dallo sport, il calcio, il futbòl, il gioco più bello del mondo, al volontariato di qualsiasi genere e varietà, dall’Avis al Motoclub, a seminatore nel settore giovanile, a massaggiatore e confessore – analista di casacche giallorosse furenti e con la cosiddetta “tigna” addosso come fosse un’impermeabile sotto la pioggia. Anche “Jaio”, a suo tempo, anni ‘70 – ‘80, da appena imberbe 17enne, ne fu un protagonista di spessore e di gloria di una “scuola vadese” che farà “epopea” in tutto lo stivalone prima in serie D e poi, sfiorando, addirittura, la C, guarda caso, con in panchina il fratello Giovanni “Gianni” Antonini, non solo mister con gli attributi ma lettore indefesso delle pupille e dei pensieri dei suoi prodi. Come non chiamarlo “miracolo” per un paese di nemmeno 4.000 abitanti?

Ora torniamo all’origine! “Jaio” impersonava il sangue misto degli invasori barbarici: ne possedeva la spada, la “turlindana”, la possanza del gigante, lui che era iscritto nell’elenco dei “baricentri bassi”, di quelli che mordono al momento della resa, che risorgono quando il dardo sta per colpire, che arriva sempre prima del gesto altrui e sa dove trovarsi quando il destino chiama. Una leggenda, “Jaio”, di cui l’opera immensa di Ariosto, “L’Orlando Furioso”, ne sarà anticipatore.  “…All’apparir che fece all’improvviso de l’acqua l’ombra, ogni pelo arricciossi, e scolorossi al Saracino il viso;
la voce, ch’era per uscir, fermossi…”. Come dire che all’apparire di “Jaio” anche ai nemici più avvezzi alle “pugne”, ai molossi scoppiettanti di muscoli e altura, si arricciavano i peli, si scoloravano i muscoli e ne spariva anche la voce. “Jaio” aveva i tempi, l’anticipo e soprattutto il punto strategico per giostrare alla difesa e ripartire alla carica con sguardo sempre torreggiante e pieno di riverbero. Un “Capitano, o mio Capitano” perfetto. Come direbbero dalle nostre parti “tutt’ d’un pezz” perchè non aveva coordinazione “sbirolenta” ma era tipo estremamente tempista e sempre pronto a chiedere l’apertura verso l’out. Ora “Jaio” è volato davvero. Per l’ultimo saluto avrebbe meritato ben altro dei soli famigliari. Verrà il tempo di nuovi disimpegni e costruire, lungo le folate del cielo terso, un doveroso omaggio di tutti noi. Per ora “tiremm innanz” e quando sentiremo una zavorra al petto e un’irritazione agli occhi daremo colpa al vento. Ciao “Jaio”. (eg)

 

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