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Venerdì all’Auditorium San Rocco di Senigallia appuntamento con Luigi Lunari e “corti…..in musica”

Venerdì all’Auditorium San Rocco di Senigallia appuntamento con Luigi Lunari e “corti…..in musica”

SENIGALLIA – Il penultimo appuntamento del Musica Nuova Festival XXVI edizione 2017 organizzato dall’Associazione Musica Antica e Contemporanea in collaborazione con il Comune di Senigallia, l’Assessorato alla Cultura, presenterà venerdì 8 settembre 2017 all’Auditorium San Rocco di Senigallia alle ore 21,30  “corti…..in musica”   con la straordinaria partecipazione del drammaturgo, traduttore e saggista LUIGI LUNARI.

Prima del concerto monografico avverrà l’incontro con l’autore in cui verranno presentati diversi suoi libri; seguiranno due performance teatrali e musicali dello stesso autore con musiche appositamente composte dal Maestro Roberta Silvestrini.

I corti teatrali verranno interpretati dagli attori Francesca Berardi, Alessio Messersì e Mauro Pierfederici; le musiche saranno eseguite da Gianluca Roscini al violino e Giacomo Sebastianelli alle percussioni, il tutto diretto da Roberta Silvestrini.

Luigi Lunari

Primogenito di tre figli di Ermenegildo (n. 1899, ingegnere, di modeste origini venete) e di Idelma Querini (n. 1906, di antica e nobile famiglia veneziana), eredita dal padre desiderio di cultura e vivissimo senso civico, e dalla madre vivacità e fantasia intellettuali. Ebbe vita tranquilla e priva di eventi, lungo la strada di una banalissima normalità.

Date essenziali di vita privata: nel 1961 sposa Laura Pollaroli (n. 1935), dalla quale ha i due figli Marco (n. 1963) e Sandra (n. 1966). Vive l’infanzia e la giovinezza a Milano, in via Nicola Piccinni, dove in un raggio di cento metri abiteranno anche Giorgio Strehler e Paolo Grassi. Con il matrimonio si trasferisce in via Pierluigi da Palestrina e di lì, nel 1971 a Brugherio.

Nel 1939, onde evitargli l’indottrinamento della scuola fascista, fu iscritto dal padre alla Deutsche Schule di Milano, gestita dalla “Congregazione delle Suore di Nostra Signora”, invise al regime hitleriano e lontane da ogni ideologia nazista. Dal 1942 al 1946 visse il periodo dello sfollamento nel paese natale del padre (Arzignano, Vicenza); nel 1946 tornò a Milano per frequentarvi medie e ginnasio all’Istituto Gonzaga dei Salesiani, e il liceo classico al Liceo Carducci, dove ebbe a compagno di classe Bettino Craxi, con il quale visse in seguito alterni rapporti. Iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale di Milano si laureò nel 1956 con una tesi in diritto del lavoro (Il rapporto di lavoro in prova).

Nel frattempo, curioso di molte cose, si interessò – sia pure a livello divulgativo – di fisica, di astronomia, di logica formale, di psicanalisi, di biologia, di zoologia. Attratto dalla musica studiò pianoforte con Tomaso Alati e composizione con Giulio Cesare Paribeni, fino al compimento del corso medio presso il Conservatorio Arrigo Boito di Parma nel 1960. Agli studi musicali tornerà poi occasionalmente, nel 1978, frequentando il corso di perfezionamento in Direzione d’Orchestra dell’Accademia Chigiana di Siena, con Franco Ferrara.

All’università frequentò i corsi extracurriculari di Silvio Ceccato sulla cibernetica (oggi informatica), durante i mesi estivi studiò in loco il francese e l’inglese; prese a Londra un diploma in Common Law presso la School of London College.

Con il precisarsi dei suoi interessi verso il teatro, nel 1960 entrò a far parte del Piccolo Teatro di Milano, incaricato di un Ufficio Studi in cui raccolse una collezione di riviste teatrali di tutto il mondo unica nel suo genere.

Al Piccolo Teatro di Milano rimarrà fino al 1982, collaborando con Paolo Grassi e soprattutto – con funzioni di “Dramaturg” – con Giorgio Strehler, per il quale tradusse vari testi di Bertolt Brecht, William Shakespeare e Anton Pavlovič Čechov. Nel 1982 entrò in conflitto con Strehler cui rimproverava il rifiuto di apporti registici esterni in un momento in cui si andavano inaridendo le sue capacità di invenzione e di lavoro, e lasciò il Piccolo Teatro. Della sua esperienza al Piccolo rimangono la divertente e divertita testimonianza del roman comique Il Maestro e gli altri e la vasta saggistica storica e critica dedicata alla storia del Piccolo Teatro di Milano e al magistero registico di Strehler.

Nella sua lunga esperienza è stato testimone – e in qualche misura attivo protagonista – della grande trasformazione che il teatro ha vissuta nella seconda metà del Novecento e in questo inizio del terzo millennio, sia sul piano organizzativo e strutturale sia per quello che riguarda la teoria dello spettacolo e la stessa scrittura drammaturgica.

Alla drammaturgia si avvicinò fin da bambino, grazie a una spontanea abilità dialogica, alimentata da assidue e precoci letture dalla drammaturgia del passato. La sua prima opera matura fu – a diciott’anni – un atto unico (Giovanna) che gli valse vari allestimenti. Al 1958 risale Tarantella con un piede solo, rappresentata al Teatro Mercadante di Napoli, nel 1961, con la regia di Andrea Camilleri, a inaugurazione del Teatro Stabile di quella città, sospesa dalla polizia alla fine del primo atto, processata per vilipendio e oscenità (per una oscura manovra di beghe politiche locali attorno al neonato teatro), e prontamente prosciolta una volta risolte o superate le beghe stesse. Nel 1966 scrive su commissione una farsa ispirata a Die Hose di Carl Sternheim, che fu il suo primo cospicuo successo. Interpretata da due mattatori del teatro comico, quali Piero Mazzarella e Tino Scotti, con la regia di Carlo Colombo, rimase in cartellone per 103 sere al teatro Odeon di Milano, con il titolo di Per un paio di mutandine: frequentatissima ancora cinquant’anni dopo, con il più presentabile titolo de L’incidente. Nel 1967 e 1968 scrive per il quartetto dei Gufi due spettacoli nello stile del cabaret: Non so, non ho visto, se c’ero dormivo sulla nascita e il primo ventennio della Repubblica italiana, e l’antimilitarista Non spingete, scappiamo anche noi!. Nel 1973 vede la rappresentazione al Piccolo di Milano, de I contrattempi del tenente Calley, ispirata alla strage di Mylai durante la guerra del Vietnam.

Nel 1980 scrive Il senatore Fox, lontanamente ispirato al Volpone di Ben Jonson, e che avrà larga fortuna in Europa ancora all’inizio del terzo millennio.

La fine degli anni ottanta segna una decisiva svolta nel teatro di Lunari. Fino a quel momento la sua attenzione è stata tutta rivolta all’attualità politica e sociale, soprattutto italiana; e i toni sono quelli della denuncia e della satira di costume.

Nel 1989 scrive di getto Tre sull’altalena, nella quale la materia narrata assume carattere metafisico, pur nella sostanza comica del dialogo e dei personaggi. Dopo la “prima” milanese del 1990 al Teatro dei Filodrammatici (Milano), la commedia approdò nel 1994 al Festival di Avignone (regia di Pierre Santini) ove colse un trionfale successo che la portò in pochi anni a una diffusione mondiale. Da quel momento, l’attenzione del suo teatro si rivolge a storie e personaggi colti in una situazione “post mortem”, come a garantire un punto di vista più affidabile e definitivo da cui considerare la loro vicenda e le loro esperienze terrene. “Defunti” – o presentati come tali – sono pertanto non solo i personaggi di Tre sull’altalena, ma anche i protagonisti de L’uomo che incontrò se stesso (1994), di Nel nome del Padre (1997), della Barca di Platone (1998), di Rosso profondo (1999), di Sotto un ponte, lungo un fiume… (2004), Il canto del cigno (2006) e in buona misura anche L’ultima vittoria (2013). Nota saliente in questa seconda e più importante fase del suo teatro è la presenza della morte: ma vista non più come lo scheletro ammantellato di nero e munito di falce, bensì come una fraterna presenza francescana che accompagna l’uomo verso la serena accettazione dell’eterno riposo, o – per i laici – del nulla.

Abbastanza rare le incursioni di Lunari nella narrativa. Nel 1990, ispirato dai vent’anni trascorsi al Piccolo Teatro di Milano, scrisse Il Maestro e gli altri, un roman comique – nel duplice senso di “teatrale” e di “divertente” – in cui sublimò in un distaccato e divertito racconto di quella esperienza il rancore per la sordità e il pregiudizio del mondo politico con cui si era scontrato. Accolto da un altissimo indice di gradimento, il romanzo fu definito “un vero e proprio capolavoro di satira e di umorismo”.

Nel 2010 – portando a maturazione un’idea che risaliva al tempo della sua traduzione dello Schweyck nella seconda guerra mondiale (1960) – scrisse Scvejk a New York, in cui la mitica “maschera” creata da Hasek proseguiva la sua attività di adesione distruttiva a un dato regime, non più a contatto con il vecchio carrozzone dell’impero austro-ungarico (né con l’oppressiva macchina da guerra del nazismo del prosieguo brechtiano), bensì a contatto con il mondo del consumismo moderno.

Meno importante – ma di non banale scrittura – Hernán Cortés e la conquista del Messico (2000): tre volumi che Lunari scrisse per l’editore Rizzoli, in un momento in cui i romanzi fiume sembravano essere di moda.

Tra gli anni sessanta e settanta ideò e scrisse numerosi originali televisivi (oggi fiction televisiva) in due o tre puntate, di grande impatto sul pubblico, non ancora sommerso dai mille canali che il terzo millennio gli offrirà. Tra questi, La resa dei conti (1969) sulla caduta del fascismo; Dedicato a un bambino (1970), Accadde a Lisbona (1974), tutti destinati all’ambitissima collocazione di massimo ascolto nell’unica rete Nazionale della Rai: ovvero la domenica sera, tra la fine di Carosello e l’inizio della Domenica sportiva. ***

Piuttosto intensa, in quegli stessi anni, l’attività di autore radiofonico, con una serie di gialli tendenzialmente umoristici, una serie di “ritratti di attrici (da Eleonora Duse, a Adrienne Lecouvreur, a Isabella Andreini, ecc.), una biografia di Molière in dieci puntate, e soprattutto – per due anni – una rivista settimanale di satira politica e di costume (Il moscerino).

Nella vasta produzione saggistica si possono ricordare – per un qualche motivo di interesse o qualche inedita intuizione – gli scritti legati alle edizioni della Collezione di Teatro della BUR delle opere di Molière e di Carlo Goldoni; e le prefazioni al Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand (1986), a Il principe di Homburg di Heinrich von Kleist (1983), allo Zio Vania di Anton Pavlovič Čechov (1997), a Le Cid di Pierre Corneille

Al di fuori del teatro, spiccano le ampie prefazioni (o postfazioni) ai Tre libretti per Mozart di Lorenzo Da Ponte (1990), a I Viceré di Federico De Roberto (2010), a Dracula di Bram Stoker (2011), a Ritratto di signora di Henry James (2013).

Nel 2017 ha pubblicato una precisa proposta di revisione costituzionale nel libro “La Costituzione italiana, ovvero Settant’anni dopo”.

Condizionato da una propria patologica inadeguatezza al confronto politico, dopo trentasei anni di militanza nel Partito Socialista Italiano (PSI) con simpatie frontiste per l’ala sinistra dello stesso, Lunari si concentrò sullo studio e sulla riflessione politica e storica; dai quali nacque – nel 2009 – un Elogio della recessione, in cui la crisi economica – ancora negata dall’establishment, veniva interpretata come la provvidenziale necessità di abbandonare il protervo inseguirsi a spirale di “produzione” e “consumi” per ripiegare su un progresso sostenibile, mirato alla produzione del necessario e dell’utile (sia pure largamente inteso), al di fuori di ogni suicida competizione economica e commerciale con il resto del mondo.br /> Nel 2013, Lunari scrisse ancora un polemico La democrazia: una signora da buttare, criticando – al di là del mito del “popolo sovrano” – l’idea stessa della conta dei voti per decidere “il da farsi”, di fronte a un qualsivoglia problema. Al metodo democratico, definito “una abdicazione della ragione”, Lunari contrappone la maggiore affidabilità di un metodo meritocratico, dove le carriere si svolgono non per plauso popolare, ma grazie all’apprezzamento degli immediati superiori e al consenso dei pari grado; come è del resto per la più antica organizzazione statuale della terra (la Chiesa cattolica) e per la nazione più grande, quale la Repubblica Popolare Cinese.

Intensa anche l’attività di traduttore, in ispecie di testi teatrali. Tra le più che centocinquanta traduzioni/adattamenti, qualcuna può essere segnalata per la felicità del risultato e per qualche piccola “scoperta” o soluzione innovativa. Così la traduzione dello Zio Vanja di Anton Čechov, che riporta il testo a una teatralità sfuggita ai traduttori precedenti; de La Moscheta di Ruzante, che per la prima volta sfuggiva alle versioni letterali delle squallide note a piè pagina, per tentarne una pregnante e colorita resa in tutta la vivacità di un parlato italiano.

Al di fuori del teatro, Lunari ha tradotto dopo il 2010 alcuni impegnative opere narrative, quali Ritratto di signora e Il giro di vite di Henry James, Dracula di Bram Stoker, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll.

 

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