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Da Morro d’Alba un nuovo no alla fusione – per incorporazione – con Senigallia

Da Morro d’Alba un nuovo no alla fusione – per incorporazione – con Senigallia

Nel corso di una riunione riportata l’esperienza negativa vissuta in un piccolo Comune (Valcamoggia) del Bolognese. Tutto questo mentre continua ad aleggiare l’ipotesi che la Regione Marche non voglia tenere conto del risultato del referendum

Da Morro d’Alba un nuovo no alla fusione per incorporazione a Senigallia Da Morro d’Alba un nuovo no alla fusione per incorporazione a SenigalliaDa Morro d’Alba un nuovo no alla fusione per incorporazione a SenigalliaDa Morro d’Alba un nuovo no alla fusione per incorporazione a Senigallia

di LEONARDO BADIOLI

MORRO D’ALBA – L’incontro che si è tenuto all’auditorium di Santa Teleucania a Morro d’Alba è stato il primo, se non sbaglio, che il comitato “Ci Siamo” per il NO alla fusione per incorporazione di quel comune con quello di Senigallia ha convocato all’indomani del risultato referendario. Come si ricorderà, quel referendum consultivo aveva dato il 23 ottobre scorso in entrambi i Comuni risultati nettamente sfavorevoli alla fusione: in modo quasi plebiscitario a Morro e particolarmente compatto a Senigallia.

Invitati d’onore due consiglieri di Valcamoggia, un piccolo comune del Bolognese che è giunto al terzo anno di esperienza nella fusione con altri piccoli comuni attorno a quello di Bazzano. Esperienza complessivamente negativa in termini di pura amministrazione, dove non si sono ottenuti i benefici e le economie che si speravano ma, anzi, si è registrato un progressivo aumento delle tariffe e contestuale distacco delle rispettive cittadinanze rispetto a quella fonte primaria di democrazia costituzionale che è data dal rapporto tra i cittadini coi suoi più diretti amministratori.

Questa esperienza ha convinto i due consiglieri a farsi relatori dovunque sia possibile e necessario, a favore del mantenimento dei piccoli comuni: senza procedere a fusioni, si possono ottenere migliori risultati sia in termini di efficienza che in termini di rispetto del diritto dei cittadini, per esempio attraverso una Unione tra comuni che fornisca la necessaria coordinazione senza svilire il fondamento rappresentativo che la sorregge.

Del resto fa altrettanto per l’Italia il sindaco dei tre comuni fusi in Trecastelli, Conigli, a favore del sì, mentre non si profilano ancora espressi benefici che siano derivati da quella procedura.

In sala erano presenti rappresentanti dell’Unione in essere tra Morro d’Alba, San Marcello e Belvedere Ostrense, sindaco e consiglieri di Monsano per le prospettive connesse col bacino Esino, e associati dell’altro comitato per il No che si era costrituito a Senigallia nella stessa circostanza, oltre a molte persone interessate.

Sopra tutto aleggiava l’ipotesi che la Regione Marche non voglia tenere conto del risultato del referendum “solo” consultivo e proceda comunque alla fusione anche se non desiderata dai votanti, quasi plebiscitaria a Morro e particolarmente compatta a Senigallia. Così aveva fatto pochi mesi fa nei comuni forzosamente fusi di Montemaggiore con Saltara e Serrungarina, col risultato di ricorsi di legittimità che sono tuttora aperti.

Se da una parte si ritiene che difficilmente la Regione voglia procedere “d’autorità” – un’autorità che non le si riconosce – alla fusione, ci sono invece indizi che questo nel tempo possa avvenire. Uno si intravede nel tirarsi fuori del Consiglio comunale di Senigallia dal riconoscere il risultato referendario, coperto da una supposta inutilità dell’atto; un altro dalla significativa assenza del sindaco di Morro dall’incontro di ieri: come può un sindaco rimasto tale grazie al No alla Fusione ignorare l’iniziativa di un comitato che ha ottenuto dai suoi cittadini il 70,33% delle risposte favorevoli al mantenimento dell’istituzione comunale e dunque della carica che ancora copre?

Il vuoto che separa il risultato referendario dalle decisioni che verranno (o non verranno) dal governo regionale è in realtà un vasto campo di obiezioni verso l’incultura che domina l’intera procedura delle fusioni. Gli assetti storici, i comuni rustici cari a Carducci, gli enti amministrativi come la Provincia (malamente surrogata da un organismo ancora difficile da definire ma certamente sottratto all’elettorato), sono in realtà beni culturali immateriali che dovremo custodire come facciamo con una residenza mai finora abbandonata o come un’opera del tempo. Aggiornandola, certo, ma facendo in modo che non vi intervengano scopi devianti come la foga di intercettare incentivi; e soprattutto che non venga cancellato il rapporto che lega il territorio e i suoi abitanti: tanto più se la soppressione avviene a favore di un non-luogo vuoto di coesione e dal nome vagamente balneare o straccamente pubblicitario come quelli che qua e là si inventano questi esperti improvvisati del marketing istituzionale.

 

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