AREA METAUROCULTURAIN PRIMO PIANO

Ecco perché Giotto è stato il pittore più rivoluzionario della storia dell’arte

Ecco perché Giotto è stato il pittore più rivoluzionario della storia dell’arte

Ne parliamo con il professor Vittorio Sgarbi che venerdì sera affronterà il tema al teatro Raffaello Sanzio di Urbino

Ecco perché Giotto è stato il pittore più rivoluzionario della storia dell'arte

Ecco perché Giotto è stato il pittore più rivoluzionario della storia dell'artedi PAOLO MONTANARI

URBINO – Passare da un genio della luce e dell’ombra come Caravaggio al pittore che ha utilizzato la lingua nuova della pittura, come Giotto, sembra un’operazione cronologicamente impossibile. Ma la fantasia creativa e la competenza dell’assessore alla rivoluzione del comune di Urbino, Vittorio Sgarbi, nelle sue vesti che gli sono più congeniali, di critico d’arte, sicuramente daranno dei risultati eccellenti.

Venerdì 23 dicembre alle ore 21, al teatro Raffaello Sanzio, nell’ambito del cartellone della stagione del teatro feltresco, il grande Vittorio Sgarbi, sarà di nuovo mattatore, dopo i successi di pubblico di quest’estate a Pesaro e Senigallia, nello svelare i segreti di un genio e sregolatezza: il primo regista della storia del cinema, Michelangiolo Merisi da Caravaggio. Ma questa Sgarbi volta si confronterà con il pittore più rivoluzionario, Giotto, che fu architetto e che ebbe il merito di formare – anche a sua insaputa – una delle scuole più importanti nella storia dell’arte.

Professor Sgarbi, perché ha scelto Giotto, dopo Caravaggio. Un’operazione voluta?

“Certamente, perché ho voluto evidenziare come certi artisti, come Caravaggio, abbiano dovuto aspettare dei secoli, in particolare con la scoperta storico-critico e scientifica della prima parte del Novecento, che ha consacrato universalmente un genio. Ma fra Giotto e Caravaggio, vi sono dei rapporti. Come non faceva a conoscere le opere di Giotto, Michelangiolo Merisi, proveniente dalla Lombardia, Veneto e poi Roma. La visione innovativa e moderna di Giotto furono studiate e meditate da Caravaggio, come fu forte l’influenza sull’artista lombardo, di Annibale Carracci, non in quel di Bologna, ma nella città eterna, dove Caravaggio lascerà i capolavori più conosciuti, in un rapporto di committenza che, all’epoca di Giotto, non esisteva.

“Come nel format su Caravaggio, parlerò dell’artista Giotto, delle scuole trecentesche legate alla sua pittura, talmente moderna, che influenzò lo stesso Picasso. Utilizzerò le immagini delle sue opere, poco conosciute e apprezzate dal popolo, ma ammirate dagli aristocratici e dagli artisti del suo tempo. E proprio questo rapporto fra società, storia, pittura ho cercato di evidenziarla nella mostra che curai a Fabriano, dal titolo Da Giotto a Gentile, pittura e scultura a Fabriano fra Due e Trecento. Infatti le Marche – e in particolare Fabriano – è terra di confine fra la cultura pittorica giottesca e quella che, proprio a Fabriano e nelle terre limitrofe, si è sviluppata”.

Certamente professor Sgarbi, nel suo atteso incontro urbinate su Giotto, non potrà scordare il suo maestro, Cimabue. Cimabue e Giotto, immortalati da Dante nel canto XI del Purgatorio….

“Evidenzierò il passaggio dall’espressività di Cimabue a una visione del reale che Giotto aveva raggiunto. Sono anni di transizione e mutazione della sensibilità che fu, al contempo, teologica e sociale. La figura di Cristo o meglio la sua iconografia sulla croce, mutò radicalmente, passando dalla stesura rigida e fissa bizantina del Christus triumphans a quella di una teologia nuova, di cui Giotto, per la pittura, fu il principale rappresentante, di un Christus patiens, dove emerge una forte umanità, con le figure piangenti della Madonna e di san Giovanni. Giunta Pisano è l’iniziatore di questo modus pingendi, che troverà in Giotto, in particolare nelle Storie di San Francesco in Assisi, non solo un continuatore, ma uno studioso che, attraverso il pennello, approfondirà gli effetti psicologici. Giotto e poi dopo di lui tanti artisti, che proprio a Fabriano si sono potuti ammirare anche nelle cappelle delle chiese del XIV secolo, riassume la sensibilità che lo precede, intuisce la strada che la rappresentazione prenderà fra poco, inventa la lingua nuova della pittura.

“Il pathos della vita umana viene trasferito nella rappresentazione visiva. Giotto a Roma conobbe l’arte antica e quella bizantina e partendo da quelle basi inventa la lingua viva della pittura. Il sentimento sta entrando nelle arti visive. E’ questa la rivoluzione di Giotto”.

Ag – RIPRODUZIONE RISERVATA - www.laltrogiornale.it