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A Ostra tornano le celebrazioni del Venerdì Santo

A Ostra tornano le celebrazioni del Venerdì Santo A Ostra tornano le celebrazioni del Venerdì Santo

A Ostra tornano le celebrazioni del Venerdì Santo

Si tramandano da secoli ed assumono un’austera grandiosità, grazie alla Pia Unione del Sangue Giusto, costituita da laici

A Ostra tornano le celebrazioni del Venerdì Santo A Ostra tornano le celebrazioni del Venerdì Santo di GIANCARLO BARCHIESI

OSTRA – Ad  Ostra le celebrazioni del  Venerdì  Santo, che da secoli si tramandano di generazione in  ge­nerazione,  assumono un’austera grandiosità, gra­zie anche al­la  Pia Unione del Sangue Giusto, co­stituita  da laici con a capo un presidente.

Dal  primo mattino, la città cambia aspetto ed  il solito  mercato del venerdì, che da sempre  fa  da sfondo a tale giornata, sembra anch’esso  diverso. E’ un conti­nuo ed interrotto pellegrinare di fede­li verso il Santuario del SS.mo Crocifisso, dove è posto alla venerazione, preghiera e ammirazione di tutti l’artistico “cataletto” del “Cristo Morto”.

Al termine della suggestiva funzione delle  “Tre ore d’agonia” presso la chiesa collegiata di Santa Croce, dove hanno  già preso posto  il “cataletto” e  la statua della Vergine Addolorata,  appena  la Città si confonde con le prime ombre della  notte, inizia silenziosamente a prendere corpo l’imponen­te corteo. Anni fa in questi momenti si spegnevano anche  le luci della pubblica illuminazione  e  la città  si  avvolgeva nel buio.  Le  piazzette,  le strade, tutto assumeva un aspetto di maggiore sug­gestività,  accresciuta  dal  tremolante  chiarore delle torce e dei piccolissimi lumi alle  finestre di centinaia e centinaia di abitazioni.

Vicino  al “cataletto” i “sacconi”,  uomini  ve­stiti  di un lungo camice rossa­stro-vinaceo  cinto alla vita da una rozza corda; ciascuno di loro re­ca un oggetto dei “misteri della passione”  di no­stro  Signore Gesù Cristo, come il gallo, la  spu­gna, i chiodi, la corda, la lucerna, il calice, la corda,  la scala, e i dadi. Avanti ai “sacconi”  i membri  associati delle altre  Confraternite,  con candele gron­danti di cera. L’elemento centrale del corteo è però il “cataletto”: è questa una  grande “macchina”  in legno e tela, dipinta ed ornata  da valenti artigiani un se­colo e mezzo fa. La macchi­na,  pesante circa tre quintali e raffigurante  un “lettuccio”  funebre dove giace il “Cristo  Morto” ricoperto  da un soffice velo, è portata a  spalle da  12  confratelli della Pia Unione, a  turno  di quattro alla volta.

Un’antica credenza vuole che uno dei componenti dell’abitazione, davanti la quale si ferma il “ca­taletto” del “Cristo Morto” per permettere il cam­bio  tra  i  portatori,  è  destinato   nel  corso dell’anno a morire. Di questa credenza nel passato  si  sono occupate anche le  autorità,  denunciando l’infondata supersti­zione. Comunque il cambio  ora viene  fatto  in corsa, ma a volte   qualcuno  non riesce ugualmente a sopportare il pesante “fardel­lo” ed il gruppo è ugualmente obbligato a  fermar­si.

Dietro  al cataletto  una miriade di  donne,  in nero con candele accese prece­dono la statua  della Vergine  Addolorata.  Al canto di “Sono  stato  io l’ingrato …” la processione percorre le  princi­pali  vie del paese fino al ritorno  nella  chiesa di  S.Croce. L’indomani, all’alba viene  ricordata l’ora della “desolata”: è questa  una funzione mi­stica, ricca di fede, tradizione e folclore  tutta da risco­prire: infatti, per una serie di disparati motivi,  tale funzione in questi ultimi lu­stri  ha perso il contributo del grande pubblico. Il ricor­do della Passione del Cristo, celebrato il  giorno prima, viene rivissuto interamente nelle parole  e nel dolore della Vergine Santissima.

Al termine, un corteo accompagna la Santa Imma­gine  presso la sua sede: il Palazzo Luzi dove  dal 1858 viene  conservato il “simulacro”  portato in  trionfo  il  Venerdì Santo per  le  vie  della città.

Le campane, che nei tre giorni dal Giovedì al  Sa­bato Santo si dicono “legate”, tacciono. Aspettano anche loro il lieto evento del Cristo risorto.

 

Giancarlo Barchiesi

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