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Ritratto di donna in un paesaggio nel racconto del regista Andrea Laquidara

Ritratto di donna in un paesaggio nel racconto del regista Andrea Laquidara

URBINO – “Ritratto di donna in un paesaggio. Ci racconti, da regista e spettatore, le due proiezioni urbinati. «Le proiezioni al Cinema Nuova Luce e al Cinema Ducale – ci confessa Andrea Laquidara – sono state emozionanti. In primo luogo perché vedere i due cinema pieni, soprattutto in questo periodo di crisi delle sale, dà una sensazione davvero intensa, forte. La risposta del pubblico è stata molto positiva. Un film, come qualsiasi altra forma espressiva, porta con sé una grande incognita: non sai mai se ciò che è comunicativo per te che l’hai preparato lo sarà altrettanto per chi lo osserva. Per questo dico che la risposta del pubblico è stata molto gratificante: il film è risuonato negli spettatori presenti. Declinato in modo diverso a seconda del carattere di ciascuno, ovviamente. A conclusione delle due proiezioni ci siamo infatti trattenuti a lungo per un dialogo tra noi della produzione e il pubblico. Un dialogo molto stimolante: al solito ti si svelano aspetti del film che non avevi notato. Un po’ come sottoporsi a una seduta di analisi…».

Si è avverato tutto quello che in fondo sognava con questo progetto? «Finora sì. Come ho già avuto occasione di chiarire, questo è un film “indipendente”, una parola elegante per indicare il “cinema precario”. Qualche giorno fa mi è capitata tra le mani la sceneggiatura del film e ho riletto alcune annotazioni su una scena, con indicazioni sulla regia, sui movimenti di macchina, sul significato dell’interpretazione dei personaggi coinvolti. Poter constatare, adesso, che le parole scritte sul foglio sono diventate immagine, ritmo narrativo, composizione audiovisiva, e che si sono arricchite nell’incontro con persone, luoghi e strumenti reali, è davvero una grossa soddisfazione».

Questo territorio cosa può svelare ancora? «Molto. E non è un’affermazione retorica. Noi siamo sempre più abituati a considerare i territori come spazi misurabili, estensioni, non come luoghi da esplorare in profondità. Mi viene in mente una scena di un film: i due protagonisti si trovano a “Zabriskie Point”, nella suggestiva Death Valley. Il ragazzo dice che è un’immensa estensione morta. La ragazza lo invita a osservare e ascoltare le migliaia di piante, animali, pietre, rumori che abitano quel luogo. Tutte forme di vita uccise dall’affermazione del ragazzo, che riteneva quella valle un’estensione morta. Durante i dibattiti col pubblico, ho spiegato che, malgrado io risieda in questo territorio da ventiquattro anni, continuo a scoprire luoghi, palazzi, sale, paesaggi, fisionomie nuove. La sorpresa che queste scoperte provocano è in parte presente nel film che abbiamo realizzato. In parte. C’è quindi molto ancora da scoprire».

“Ritratto di donna in un paesaggio” è nato? «Da uno spunto che mi è stato lanciato da altri e che, rielaborato, è andato verso altri. Se l’idea del film non avesse incontrato Angela Cervellieri, Giovanna Errede, Alessandro Brugnettini, Devon Miles, Carlo Cancellieri, Lorenzo Fontanella (i membri principali di AB Produzioni), e i tanti che con noi hanno collaborato, sarebbe rimasto un file di Word inserito in una cartella sul desktop del mio computer». (e.g.)

 

 

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