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Virus e libertà: il caso dello studente di Fano avviato al Tso per non aver indossato la mascherina

Virus e libertà: il caso dello studente di Fano avviato al Tso per non aver indossato la mascherina

di LEONARDO BADIOLI

Ho letto ieri sul Resto del Carlino dello studente diciottenne di Fano che per manifestare la sua volontà di non mettere per molte ore la mascherina in classe si è incatenato al banco.

Premetto che io indosso la mascherina come e quando lo dicono le norme, non forse perché sia convinto della loro stretta necessità, specialmente all’aperto, ma perché – citando un antico testo urbinate – “non intendo disgiungere le mie sorti da quelle comuni.”

Tuttavia (o forse proprio per questo), mi sento di esprimere un’opinione diversa da quella che ha disposto per lui un Trattamento Sanitario Obbligatorio.

Quando si sente parlare di TSO di solito si pensa ad un trattamento di tipo psichiatrico, perché in effetti è proprio questa la maggiore occorrenza. Bisogna però dire che la legge che lo istituisce, (n.833/1978, artt. 33-35) fa riferimento a “interventi sanitari che possono essere disposti per qualsiasi causa sanitaria, come ad esempio per le malattie infettive dove il rifiuto di un trattamento potrebbe rappresentare una minaccia alla salute pubblica”.

Questo significa che mi trovo d’accordo con l’autorità (il Sindaco) che l’ha disposto? Niente affatto. Analizziamo bene: lo studente – maggiorenne – disobbedisce alle norme che vogliono che a scuola la mascherina si porti, e per rafforzare la sua volontà ricorre a un mezzo non violento come quello di incatenarsi al banco. Un simile comportamento rivela in lui la consapevolezza che un’aperta e dichiarata disobbedienza abbia anche un prezzo da pagare, per esempio con la sospensione da scuola. E proprio questo l’autorità scolastica avrebbe potuto fare: sospenderlo dalle lezioni “in presenza”,  non certo consentire che un dissenziente sia sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Anche perché, per quanto ne so, non risulta che questo studente fosse mentalmente alterato o positivo al Covid.

Parlava in terza persona? Qualcuno lo chiama    “Sindrome di hybris”, ma non è una malattia: è Il linguaggio dei gesti importanti; né è un indizio di plagio: anzi, la terza persona sottolinea l’individualità; lo facciamo anche noi qualche volta; lo fanno molto spesso i calciatori. Vogliamo mandar anche a loro un TSO?

Mi chiedo dunque – e chiedo espressamente alle autorità responsabili di un simile provvedimento – in che cosa possa consistere effettivamente il trattamento cui ora è sottoposto lo studente, se non un confino temporaneo o addirittura un  tentativo di convincimento forzato – speriamo non farmacologico – che lo convinca a cambiare opinione. Fosse così, non saprei farmene una ragione, ricordando come simili pratiche fossero spesso usate da Stalin e dai peggiori regimi autoritari. Che il Covid ne sia circostanza e ne offra l’occasione?

 

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