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Da un mese il Covid Hotel di Senigallia alleggerisce la pressione degli ospedali e del personale sanitario

Da un mese il Covid Hotel di Senigallia alleggerisce la pressione degli ospedali e del personale sanitario

Al momento vi  sono ospitate 12 persone. Le commoventi storie di chi ha sconfitto il virus

SENIGALLIA – Sono trascorsi ormai quasi 30 giorni dall’apertura del Covid Hotel, primo della regione Marche, nato dalla sinergia tra Caritas Senigallia, il comitato “Un aiuto per l’ospedale di Senigallia” e il supporto medico dell’ambulatorio solidale Paolo Simone Maundodé.

Al momento sono ospitate 12 persone, pazienti positivi al virus ma asintomatici oppure dimessi dagli ospedali dedicati della regione e impossibilitati a vivere la loro quarantena obbligatoria presso il proprio domicilio. Scopo principale è quello di alleggerire la pressione degli ospedali e del personale sanitario, già fin troppo aggravati dall’epidemia di Coronavirus.

Il Covid Hotel è una forma di “ospitalità sociale” in linea con gli interventi che Caritas mette in atto quotidianamente, monitorando la povertà, il disagio e le situazioni critiche che i cittadini sono costretti a vivere: al momento attuale la presenza di questo hotel è per il territorio un’ancora di salvezza e giorno dopo giorno ce ne rendiamo conto.

La prima persona ospitata è stata una dottoressa di un’altra regione, che si trovava nelle Marche per un intervento medico. La sua storia è emblematica dell’assurdità e della gravità di questo virus, che stravolge senza preavviso la vita di persone comuni e lascia un segno indelebile. Dopo la buona riuscita dell’intervento, infatti, la dottoressa esce dall’ospedale di Urbino e resta nelle Marche per le visite post operatorie. Si sente bene, passeggia insieme al marito per la città. Dopo qualche giorno le sale una febbre lieve, che lei immagina sia causata dai drenaggi. La febbre va e viene, almeno una volta al giorno, quindi torna in ospedale e dopo altri giorni di malessere le viene effettuata una radiografia che evidenzia una polmonite.

“Il 23 marzo sono stata ricoverata nuovamente a Urbino” dice la dottoressa “stavolta per Coronavirus e sono uscita dall’ospedale il 13 aprile. Ho ricordi confusi e terribili di quei giorni, difficile raccontare la situazione nei reparti Covid, dove si lotta tra la vita e la morte. Mi è stata somministrata la terapia, seppur senza necessità di respiratore, ma l’impatto psicologico su di me è stato devastante”.

Poi, il 13 aprile, a virus sconfitto, la possibilità di andare a casa, ma la paura di infettare il marito, che nel frattempo le era rimasto sempre vicino, in attesa, ogni giorno, di notizie positive e migliori. A questo punto entra in campo il Covid Hotel, che per la dottoressa resterà come una luce dopo il tunnel: “Mi hanno trasferita in questo hotel sul mare e la prima cosa che ho fatto sono tre docce! Farmi una doccia mi sembrava un lusso incredibile. Sono stata coccolata, mi hanno dato lo shampoo, le forbicine, la crema per il viso, tutte cose normalissime che però non lo erano più per me. Non avevo più nulla. E poi… mio marito. Ogni pomeriggio stava sotto il mio balcone per guardarmi. Abbiamo parlato, ci siamo sorrisi, guardando il mare vicino e sognando di tornare a casa insieme. Un po’ come Romeo e Giulietta”.

Martedì 5 maggio la dottoressa è uscita dall’hotel, è negativa al secondo tampone e può finalmente tornare a casa, dove resterà in quarantena come da decreto, dopo due mesi di permanenza nelle Marche. Dietro a ogni ospite del Covid Hotel c’è una storia, e questa ci piaceva molto, perché ci ha toccato in modo profondo, grazie alla dolcezza del finale, a dispetto di molte storie finite male. Resta il fatto che le cicatrici di questo virus resteranno per sempre sulle vittime, sui loro familiari, sulle loro vite. Il nostro hotel è un granello di sabbia nell’affrontare la pandemia, ma siamo certi che sia importante per chi ne avrà bisogno.

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