IN PRIMO PIANOPOLITICASENIGALLIA

“Cosa vuol dire lavorare in una casa di riposo ai tempi del Covid-19?”

“Cosa vuol dire lavorare in una casa di riposo ai tempi del Covid-19?”

Presa di posizione del movimento politico Potere al Popolo dopo l’intervento del Consiglio di amministrazione dell’Opera Pia Mastai Ferretti di Senigallia

SENIGALLIA – Dal movimento politico Potere al Popolo riceviamo: “Apprendiamo dal comunicato stampa del 07/04/2020 a firma del Consiglio d’Amministrazione dell’Opera Pia Mastai Ferretti, ente che gestisce l’omonima struttura residenziale socio-sanitaria per anziani che, oltre ai 4 reparti covid ospedalieri, vi è un’area covid con 13 ospiti positivi mentre altri 13 sono in regime di ricovero ospedaliero. Si rileva inoltre, sempre dal comunicato stampa, che il Consiglio d’Amministrazione ha stabilito una serie di decisioni e di provvedimenti al fine di arginare la diffusione del contagio. Parliamo di provvedimenti la cui efficacia e opportunità non sta a noi valutare, anche se crediamo che di fronte ad un fenomeno epidemiologico di tale portata più che affidarsi alle iniziative di singole strutture vadano messi in campo dei piani di emergenza nazionali e regionali uguali per tutta l’area sanitaria socio-assistenziale pubblica e privata.

Al riguardo però, non possiamo fare a meno di notare con preoccupazione e stupore la messa in atto di alcune iniziative nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori della struttura quali i corsi di formazione in aula e l’obbligo di firma nella dichiarazione di responsabilità.

I corsi di formazione sono, infatti, a nostro avviso, per loro natura, un’attività da svolgere regolarmente in condizioni di ordinaria attività, quindi con cadenza periodica, proprio perché hanno lo scopo di consegnare agli operatori gli strumenti teorici e pratici da utilizzare in casi di emergenza. Pensare di formare i lavoratori nel bel mezzo di una pandemia pone una serie di dubbi su come e quanto sia stato fatto in precedenza in termini di formazione, ma questo, purtroppo, è un dubbio che si allarga a tutte le strutture sanitarie. Sappiamo bene che quando la politica aziona le forbici e i tagli di spesa, come spesso è successo in questi ultimi anni, le prime vittime sono la formazione e i servizi di prevenzione, ritenuti quasi degli optional rispetto al servizio di cura.

Riguardo alla “dichiarazione di responsabilità” riteniamo curioso, per usare un eufemismo, obbligare un operatore ad assumersi la responsabilità scritta di “non aver frequentato persone o ambienti contagiati”. Non sarebbe stato più utile ed efficace allora chiedere ed esigere a chi di dovere un piano di sorveglianza attiva mediante test tampone faringeo a cadenza periodica a tutti gli operatori? Per la reale sicurezza di tutti i lavoratori della struttura e di tutti gli ospiti?

Ci poniamo infine un’ultima domanda: il Consiglio d’Amministrazione dell’Opera Pia afferma testualmente che “solo in questi giorni si sta risolvendo il problema della scarsità di dispositivi di protezione”. Considerando che i primi decreti riguardo i provvedimenti da adottare risalgono all’ 8/9 marzo e che il comunicato della Fondazione è del 7 aprile, ci chiediamo: per quale motivo una struttura con 240 ospiti, con elevato grado di fragilità rispetto ad una emergenza epidemica, sia riuscita solo ora ad affermare di risolvere questa importante questione? In questo mese gli operatori in quali condizioni di sicurezza hanno dovuto lavorare e prestare assistenza? Per rispondere a tale domanda dobbiamo inevitabilmente anche interrogarci sulle modalità di gestione dell’emergenza da parte dell’Amministrazione Regionale, che invece di prendere atto dello smantellamento e della disarticolazione del sistema sanitario regionale e prevedere provvedimenti in tal senso, continua a sposare l’idea delle misure tampone e temporanee. Ma, forse, la risposta si trova proprio in quella normalità che è bene non ritorni.

 

Ag – RIPRODUZIONE RISERVATA - www.laltrogiornale.it