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Guido d’Arezzo antesignano della lotta contro la casta

Guido d’Arezzo antesignano della lotta contro la casta

Il monaco che osò opporsi alla sopraffazione nel romanzo Virginia, o: que puis-je faire?, di Paolo Maria Rocco: “La vita di Guido Monaco si dovrebbe insegnare nelle scuole”

di ANTONELLA G. MACRI

FANO – Dovevano trascorrere duemila anni perché se ne parlasse, perché fosse sottratto alla polvere e alle scorie del tempo. Parliamo del prezioso “Codice Nn”, antichissimo Breviarium conservato nella Biblioteca del Monastero marchigiano di Fonte Avellana, nelle Marche. Oggi, nel Terzo Millennio, se ne scrive, finalmente, in un libro, un romanzo molto bello, e lo si porta alla luce come si conviene a un antichissimo manoscritto (riconducibile all’Anno Mille) sul quale opinioni convergenti di molti studiosi del settore affermano che vi abbiano messo mano Pier Damiano (proclamato Santo, nel 1828), Priore di quel Monastero intorno all’anno 1030, e il suo amico e sodale monaco Guido d’Arezzo o, come altri preferiscono chiamarlo, Guido da Pomposa (anch’egli divenuto Priore di Fonte Avellana tra il 1035 e il 1040).

Andiamo, allora, con ordine. Innanzitutto diciamo che il merito di aver portato l’antico Breviarium alla conoscenza di tutti, è del romanzo “Virginia, o: Que puis-je faire?”, edito da BastogiLibri di Roma, del poeta e scrittore Paolo Maria Rocco, residente da tanti anni proprio nelle Marche, prima a Urbino poi, attualmente, a Fano. Pubblicato e distribuito nel 2015 il libro, sappiamo, è stato anche consegnato, come un gesto di cortesia, all’allora Priore dell’Eremo. Ed è così che dopo il 2016, anche nelle pagine del sito on line che informa sulla storia del Monastero ecco comparire, accanto alle sezioni dedicate alle varie fasi dell’edificazione dell’antico luogo di meditazione e di preghiera, brevi notizie (prima della pubblicazione di quel libro,  non reperibili in quel sito online) riguardanti il venerabile Codice Nn. Per questo possiamo ben dire che il romanzo di Paolo M. Rocco ha squarciato la nebbia che, fino al 2016/17, rendeva impenetrabile, ai più, la conoscenza del Breviarium. L’esistenza del Codice Nn e dei suoi prestigiosi estensori non era conosciuta, infatti, se non dagli studiosi, dagli specialisti – davvero pochi – dei Canti liturgici e del Canto Gregoriano.

Perché il Codice Nn, scritto intorno al 1030 ca., è così importante? Ce lo facciamo dire dall’Autore del romanzo che, proprio intorno a quelle notazioni musicali attribuite a Guido d’Arezzo, ha costruito una narrazione di grande fascino: «Mi faccia dire, innanzitutto, che io non sono uno ‘specialista’ della vita del Monaco né un musicologo. Dell’esistenza del Codice Nn sono venuto a conoscenza – spiega Paolo M. Rocco – quando ero direttore responsabile del Trimestrale di Cultura letteraria e musicale “La Nota”. Intorno al 2007, quindi, chiesi a un importante studioso e musicologo italiano di scrivere per la Rivista un articolo sul Canto Gregoriano e su Guido Monaco, intervento che fu pubblicato nel numero… del Trimestrale. Da lì, si fece preminente il mio interesse per Guido Monaco, inventore della Notazione Musicale (oggi, diremmo, anche se impropriamente, inventore delle Note musicali così come le conosciamo, Do, Re, Mi…, in realtà Guido denominò ‘Ut’ il ‘Do’) e di questo Codice Nn che da tempo immemore si trova nella biblioteca del Monastero di Fonte Avellana». Ed è così che, per la prima volta in assoluto, in un romanzo – “Virginia, o: Que puis-je faire?” – si narrò la storia del Monaco dell’Anno Mille che osò sfidare il potere della casta dei Monaci cantori…: «Sì. La vita di Guido Monaco è esemplare per tanti aspetti, tutti di grande interesse e possiamo dire attualissimi». Però, ci faccia capire una cosa, innanzitutto: perché non lo chiama Guido d’Arezzo o Guido da Pomposa?: «Il Monastero di Pomposa e la città Arezzo sono due tra i luoghi in cui ha vissuto Guido Monaco, e il richiamo ad essi, a volte uno a volte l’altro, serve, per chi ha interesse a farlo, per accreditarsi come luogo di nascita dello stesso Guido. In realtà, tutti sappiamo che del Monaco non si conoscono né i luoghi né le date di nascita e di morte. Ciò che è dato sapere dai pochi documenti nei quali troviamo il suo nome, è che Guido Monaco, nato intorno al 990/992, è stato da giovane nel Monastero di Pomposa, nella diocesi di Ravenna, sulle foci del Po, e poi, nella seconda parte della sua vita ad Arezzo e che, infine, tornò da Priore a Pomposa. Si tratta di una disputa, quella sui luoghi presunti della sua nascita, tutt’oggi in corso, per accreditarsi, appunto, come luogo che ha dato i natali a uno dei più geniali uomini di cultura italiani e del mondo, ma né Arezzo né Pomposa possono attribuirselo con certezza. Possono però dichiarare al mondo intero che Guido Monaco ha segnato con la sua preziosa presenza sia la storia di Pomposa che di Arezzo».

D’accordo, ma detta così sembra la vicenda, altissima, di un uomo venuto dal nulla e scomparso nel nulla… «Ed è proprio così, infatti. Almeno fino a quando non si troveranno documenti che ne accertino nascita e morte in un dato luogo e in un dato tempo. Io spero non accada mai. La cosa più importante è che Guido Monaco è stato un uomo che ha lasciato un’impronta indelebile di sé e della propria opera nella Cultura di tutti i tempi e di ogni luogo. Un uomo ‘toccato dalla Grazia’, come faccio dire a Virginia, la protagonista del romanzo, un uomo che appartiene all’Umanità, lui stesso profondamente ferito nella propria umanità per avere intaccato i privilegi di una potente casta». Ecco, così passiamo alla questione, per così dire, ‘politica’ che, pure, informa la vita del Monaco: «Sì, malgrado lui, potremmo dire (ma, questa volta, con verità), che non aveva certo l’intenzione di contrastare o compiacere alcuno. Ma, sappiamo, l’altezza d’ingegno provoca di queste disgrazie.

Guido Monaco era uno studioso e un genio, quale importanza poteva avere per lui se l’esito dei suoi studi avesse colpito gli interessi di questo o di quell’altro? Lui sapeva che quegli studi lo avrebbero portato a traguardi straordinari, non solo per sé ma per tutti; chiunque, in seguito, avrebbe potuto godere di quei risultati: avrebbe dovuto fermarsi? Sarebbe stato come chiedere a Leonardo o a Raffaello o a Dante di soffocare la propria Arte per non dispiacere il potente di turno».

Ma è proprio quello che è successo, Guido ha urtato interessi forti e consolidati fino a polverizzarli: «E per questo dovrebbe essere di esempio per chiunque, no? Ha combattuto contro il potere e contro l’immobilismo (in un’epoca, peraltro, nella quale anche il solo atteggiamento non esattamente conforme alla norma era considerato satanico) e, per questo, è stato oggetto di odio e maldicenza e costretto al silenzio e alla fuga. Un silenzio durante il quale, però, egli ha portato con sé i suoi studi fino a farli parlare, conoscere, apprezzare, diffondere. Ma, appunto, ha dovuto prima combattere contro una casta, quella dei Monaci cantori».

Qual era il nocciolo del contendere?: «Come si sa, i Canti liturgici (prima dell’invenzione di Guido Monaco) erano tramandati a voce (e, quindi, a memoria) dai Maestri Monaci ai Novizi che dovevano impararne centinaia, a memoria. Un lavoro complesso, lungo e faticosissimo durante il quale molto spesso la trasmissione orale produceva errori, che poi si ripetevano nel tempo tanto che si perdevano le tracce del canto originale. I Canti costituivano un elemento fondamentale della liturgia sacra, si capisce perché i Monaci maestri cantori fossero portati in palmo di mano. Quando il nostro Guido ha inventato la scrittura delle note musicali ecco che cadeva l’insegnamento mnemonico (bastava leggere le note!) e, con esso, il potere detenuto da quei Monaci maestri cantori. I quali, privati del loro metodo che li innalzava a un livello superiore nella gerarchia, cercarono di contrastare Guido in tutti i modi, fino a costringerlo alla fuga da Pomposa. Cacciato dal monastero ravennate (in un periodo di grandi novità e conflitti: le lotte tra Papato e Impero, la riforma Gregoriana, ndr), Guido dovette affrontare un esilio, quasi come quello di Dante e di tanti altri Geni della Cultura di ogni tempo, invisi per l’altezza della loro Arte… Potremmo dire che una personalità come quella di Guido Monaco oggi lotterebbe contro chi vuole farsi, indisturbato, la propria Messa cantata…». Ma Guido non era certo un ‘anarchico’!: «No, certamente. Era un uomo di chiesa, un monaco, non privo, però, di passioni terrene che coltivava con grazia e intelligenza…».

E poi arrivò ad Arezzo… «Dopo un certo percorso, perché è rimasto a Pomposa finché ce l’ha fatta, poi… ad Arezzo e a Roma la sua invenzione trovò l’accoglienza e gli onori che meritava»… Sfuggito alle grinfie della Casta: «Sì, una casta che si era resa conto che sarebbe stato molto difficile riportarlo ‘all’ordine’, addomesticarlo (nel proprio grembo corrotto), e infatti non vi riuscì. E infine Guido ha soggiornato anche nel Monastero di Fonte Avellana ove pare certo che il Codice Nn lo abbia sottoposto anche a Pier Damiano, il Santo che Dante cita nel Paradiso con versi che tratteggiano anche la vallata (una gola, per dir meglio) nella quale è stato eretto il Monastero avellanita, trascritti in una targa che sovrasta, ancora oggi, il portone d’ingresso del Monastero. Dante, infatti, pare che vi abbia soggiornato, anch’egli, nei primi anni del ‘300 mentre era a Gubbio ospite del nobile Bosone da Gubbio. E pensi che coincidenza… anche Bosone, ghibellino, fu esiliato da Gubbio (condannato all’esilio da quel Cante Gabrielli che aveva già deciso l’esilio di Dante) e dovette riparare proprio ad Arezzo, e anche qui incontrò Dante Alighieri…». È sicuramente una storia intensa e affascinante, e quindi è anche una metafora del mondo…

«Precisamente, ed è anche questo il significato della vita del Monaco che ho voluto sottolineare nel romanzo: una metafora del mondo. Infine, è per tutti questi motivi che il Codice Nn dovrebbe essere ritenuto di grande pregio da tutti i marchigiani: è un testo antichissimo, scritto da Guido Monaco, e se quindi, come appare certo, l’attribuzione è esatta, si deve capire che ci si trova di fronte a un tesoro inestimabile custodito in un Monastero che, già di per sé, è un manufatto architettonico di enorme valore. Nel mio romanzo scrivo di tutto questo e di altro… a partire dalla scoperta del Breviarium, (che nell’invenzione letteraria è acefalo) da parte della protagonista, Virginia, giovane pianista del Nord America che, in epoca contemporanea, giunge in Italia per perfezionare i suoi studi e che, in Italia, catturata dalla storia del Manoscritto e da Guido Monaco, intraprenderà un percorso di conoscenza che cambierà tutta la sua vita, e incontrerà anche l’amore. La storia di Guido Monaco si dovrebbe insegnare nelle scuole, qui nelle Marche, innanzitutto, per far capire ai giovani quanto è importante non solo impegnarsi nello studio per migliorare se stessi e per poi essere utili agli altri, non solo perché Guido Monaco e Dante hanno cantato questa terra ma anche perché la vita stessa di Guido Monaco (della quale una parte importante e non breve egli l’ha trascorsa nelle Marche) è edificante nel suo opporsi alla violenza e alla sopraffazione per innalzare la Libertà della Creatività e della Bellezza».

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Libri di Paolo M. Rocco:

– Virginia, o: Que puis-je faire?, romanzo, BastogiLibri, Roma, 2015;

– I Canti, poesie, BastogiLibri, Roma, 2016;

– Bosnia, appunti di viaggio e altre poesie, Ed. Ensemble, Roma, 2019;

– Antologia di Poeti contemporanei dei Balcani, Ed. LietoColle, Como, 2019 (coautore con E. Sokolovic).

 

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