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“Area dello stadio di Senigallia: per il Comune la finanza di progetto ha un costo o no?”

“Area dello stadio di Senigallia: per il Comune la finanza di progetto ha un costo o no?”

SENIGALLIA – Dal movimento culturale Quelli dell’Onda (Un gruppo di persone che si pone domande e propone soluzioni utili alla formazione di comunità sistemiche col metodo della complessità. L’Onda non è e non sarà mai interessata direttamente alla rappresentanza. Non vanta e non cerca parentele politiche né avversari politici da combattere. Dove non sa, chiede. Accetta nel caso di avere torto sapendo che la ragione si forma sul confronto libero da interessi di parte – ndr) riceviamo questo nuovo intervento su un argomento di grande attualità, considerato che la Giunta municipale di Senigallia ha deliberato la proposta di riqualificazione dell’area dello stadio da realizzarsi attraverso lo strumento del project-financing.

“L’intera impalcatura progettuale che la Giunta comunale sta mettendo su nell’area dello stadio si regge su un unico cardine: quello del project financing, o, in italiano, “finanza di progetto”. Muovendo dal fatto (ammesso e non concesso) che il Comune non ha i soldi per realizzare un’opera da essa ritenuta utile o necessaria, cerca (o trova) un accordo con una società che in cambio di vantaggi alla propria ragione sociale si sobbarca l’onere di realizzarla. Nel caso: io Conad metto a posto lo stadio, ti sistemo l’area e tu Comune mi concedi di mettere un supermercato su terra comunale e di tenercelo per un arco di trent’anni.

La circostanza che l’investimento venga fatto da privati crea la facile illusione che l’operazione ai cittadini non costerà niente. Abbiamo la netta impressione che chi lo sostiene non abbia fatto bene i conti.

Senza vino senza pane povero cane

A partire dal primo movente: il Comune non ha i soldi per fare l’opera in proprio. Davvero? Il debito per investimento è direttamente sancito dall’art. 119 della Costituzione. Per dire. Quale banca rifiuterebbe al Comune l’accensione di un mutuo? Ha forse il Comune esaurito la propria capacità di indebitamento? Non dispone di sufficienti garanzie? Non è capace di fare un piano di ammortamento?

In particolare il mutuo obbligherebbe il contraente per il tempo necessario a estinguerlo; nel project financing invece il tempo è stabilito dal periodo è quello di convenienza del partner.

Lo sponsor poi gestisce gli interessi suoi; per esempio, sa già che potrà fruire di un credito di imposta del 65% per opere destinate allo sport. Perché tale credito non potrebbe essere attivato dal Comune in autonomia o attraverso una società propria costituita ad hoc? Perché quello che per Il partner privato è un vantaggio per il Comune dovrebbe essere solo una spesa?

Per non parlare poi della qualità della parte di opere da cedere al Comune quando sia la società partner a provvedervi con finanze proprie. Ne abbiamo già esempi a Senigallia: uno è il sottopasso di via Mamiani: appena fatto piscia acqua da tutte le parti.

A chi giova?

Andiamo avanti. L’esperienza del project financing ha già un suo bilancio di insuccessi legati all’affidabilità del partner più che non da quella dell’istituzione pubblica, che è data per stabile. Cosa garantirebbe il Comune per trent’anni contro un eventuale fallimento dello sponsor? Non certo la prosperità attuale, vista la mutevolezza del mercato proiettata su un periodo molto lungo.

E questo è quanto riguarda il progetto di finanza in sé e per sé.

Vediamo poi che senso esso possa avere in relazione all’istituto comunale e a una correttezza di rapporti con i cittadini amministrati. Un mese fa Quelli dell’Onda hanno diffuso fotografie di una cinquantina di negozi chiusi in centro. Un vero collasso del piccolo commercio cittadino. Questi negozi non hanno chiuso solo e tanto per la naturale evoluzione del commercio, ma anche in seguito e a causa della politica comunale. Con loro infatti, e con gli attuali eroici resistenti del piccolo commercio, il Comune non contratta le scelte urbanistiche, non cambia il volto della città per dare spazio a loro. Però le tasse le vuole lo stesso. Con quale animo costoro pagano per una politica che li trascura o, peggio, che rema loro contro?

Un Comune in appalto?

Quale politica poi con i project financing? Il Comune cede la sovranità dei cittadini a qualche gruppo in cambio di benefici subalterni. I benefici finanziari emigrano dalla città, sono portati fuori. Il partner ci dà un servizio ma è una specie di idrovora delle nostre risorse. Per conseguenza pochi ed estranei arricchiscono e la città impoverisce. Col comune alla nostra testa, marciamo tutti verso la resa delle economie generative locali. Se leggi e governi italiani vanno nella stessa direzione, dovremo tutti essere consapevoli che i Comuni dovranno fare tesoro delle loro proprie forze e non abboccare all’amo che viene loro lanciato dai possibili partner privati. La città – ogni città – ha il suo microclima economico e vive di sé, oppure non vive.

Del resto il fenomeno della cessione delle funzioni pubbliche a partner privati è ben presente agli occhi degli osservatori. Non per nulla al Forum Economico Mondiale di Davos l’agenzia Oxfam ha lanciato questo avvertimento: “Le esperienze di collaborazione fra pubblico e privato (i cosiddetti PPP) non rappresentano un’alternativa valida alla fornitura degli stessi servizi da parte del governo ma, al contrario, accentuano la disuguaglianza e prosciugano le entrate governative”.

L’Italia, paese della sussidiarietà e delle convenzioni, vi è immersa.

Ora, quanto più il governo locale dichiara di fondarsi su un’etica sociale, deve rendersene conto. Non ceda sui principi fondativi: “dei, per i, attraverso i” suoi cittadini. Eviti almeno di rendersi pioniere della nostra resa”.

 

 

 

 

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