EVENTIIN PRIMO PIANOSENIGALLIA

“Non sono state solo le Brigate Rosse a sequestrare ed uccidere Aldo Moro”

“Non sono state solo le Brigate Rosse a sequestrare ed uccidere Aldo Moro”

L’on. Gero Grassi ha ripercorso a Senigallia uno dei periodi più cupi del nostro Paese, tenendo conto degli accertamenti fatti dall’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta. Un evento cruciale della storia italiana che segue un’infinità di altri tentativi e manovre antidemocratiche, finalizzati a determinarne una subalternità strutturale, un Paese a sovranità limitata. In via Fani, con le Br c’erano anche uomini della malavita romana e dei servizi segreti

SENIGALLIA – A 41 anni dal sequestro e dall’assassinio dell’onorevole Aldo Moro troppe verità restano ancora negate. Anche se molto ha fatto, nel tentativo di provare a dare una spiegazione credibile la terza commissione parlamentare d’inchiesta, i cui atti ufficiali sono stati approvati dalla Camera dei deputati nel dicembre del 2017. Ed oggi, al Circolo Acli di Senigallia, l’onorevole Gero Grassi, già componente della stessa commissione, ha cercato di fornire qualche indicazione – e motivazione – in più per cercare di comprendere meglio chi e, soprattutto, perché ha ucciso Aldo Moro? Un interrogativo che la storia d’Italia porta con sé, celato dietro i misteri, racchiuso nel “dico e non dico” di tanti interpreti, protagonisti e non protagonisti, del più grande periodo noir che è stata la fine degli Anni Settanta.

Un mistero che proprio in questi giorni è tornato di grandissima attualità dopo le ulteriori rivelazioni del boss della camorra Raffaele Cutolo, colui che aveva trattato in precedenza la liberazione dell’assessore democristiano della Regione Campania, Ciro Cirillo.

La lunga e circostanziata relazione di Gero Grassi, ascoltata in religioso silenzio da una platea attenta, è stata introdotta dal senatore marchigiano Francesco Verducci.

L’on. Gero Grassi, nella sua attività volta all’accertamento dei fatti e alla ricerca della verità sull’intera vicenda legata al rapimento e all’assassinio dello Statista democristiano, ha incontrato e parlato con tantissime persone che hanno avuto ruoli, più o meno importanti, in questa complessa vicenda. Ha incontrato i brigatisti Faranda, Franceschini, Morucci, Etro. Ha discusso con importanti magistrati come Imposimato, Priore e Caselli. Ha incontrato i parenti delle vittime di via Fani ed è riuscito ad instaurare un rapporto di amicizia e fiducia reciproca con Maria Fida e Luca Moro i quali gli hanno donato un grande archivio personale, composto da documenti pubblici e privati e dall’intera rassegna stampa sul caso Moro dal 1978 ad oggi.
“La verità – ha detto Gero Grassi – è quella che emerge dalle indagini ed è suffragata da prove certe”. Prima degli accertamenti della Commissione Moro II, infatti, l’unica verità che si conosceva sul rapimento e sull’assassinio di Aldo Moro era rilevata dal Memoriale dei brigatisti Faranda e Morucci. Nella terza Relazione Moro, quella approvata dalla Camera dei Deputati il 13 dicembre 2017, si dice, invece con molta chiarezza, che “emerge un particolare rapporto di Morucci con apparati dello Stato e figure istituzionali, con i quali si avviò, nel corso degli anni ’80, una forma di interlocuzione, in un sovrapporsi di piani tra la vicenda criminale e quelle politico-giudiziarie”.

“Il professore Francesco Tritto, assistente universitario di Moro – ha detto Gero Grassi – , mi ha raccontato, ma lo scrive anche nel suo libro e lo testimonia in tribunale, che il 14 marzo 1978, a fine lezione, ricorda a Moro che il 16 ci sarà la seduta di laurea. Moro, replicando gli fa notare che non è mai stato assente. A quel punto Tritto dice: “Professore, potrebbe essere la sua ultima seduta di laurea. Sanno tutti che sarà eletto Presidente della Repubblica”. Moro replica: “Grazie professore, lei è troppo buono ma ingenuo. Non sarò mai eletto Presidente della Repubblica. Mi faranno fare la fine di John Kennedy”.
Gero Grassi, parlando a braccio, per oltre due ore, ha ripercorso i fatti emersi dal lavoro della Commissione d’inchiesta sull’eccidio di via Fani, sul rapimento e la morte di Aldo Moro, smontando, pezzo per pezzo, la versione conosciuta.

Impressionante, per il numero di dettagli e di incroci di fatti e di persone emerse dai risultati delle tre commissioni parlamentari che hanno indagato sul Caso Moro, la relazione di Gero Grassi. Fatti che solo adesso, a distanza di 41 anni, possono essere compiutamente conosciuti e resi disponibili. In primo luogo la certezza che in via Fani, con le Brigate Rosse, ci fossero soggetti terzi della malavita romana, della Banda della Magliana, ed i servizi segreti italiani e stranieri. Poi, la certezza che il Bar Olivetti non fosse chiuso al momento della strage, come si è scritto invece per tanti anni, ma fu l’epicentro del rapimento Moro, la centrale operativa, frequentata da brigatisti, uomini dei Nar, della ‘ndrangheta, da Frank Coppola (mafia-siculo americana), da Tano Badalamenti (mafia siciliana), e da Camillo Guglielmi, vice comandante generale di Gladio.

Secondo Gero Grassi le altre due grandi novità riguardano la prigione di Aldo Moro e la sua morte. Prigione che non dovrebbe essere quella di via Montalcini, ma in via Massimi 91 (alla Balduina) dove è stato ospitato il brigatista Prospero Gallinari e dove aveva sede il palazzo dello Ior, in un complesso che godeva della extraterritorialità, in quanto appartenente al vaticano.

“E poi la ricostruzione della morte di Aldo Moro – ha sempre detto Gero Grassi – che, così come i brigatisti Germano Maccari e Mario Moretti la descrivono, per il numero dei proiettili, per i proiettili silenziati, per il tempo, per il luogo, oggi non regge rispetto agli ultimi accertamenti. Loro dicono che è morto sul colpo e invece Aldo Moro è morto dopo 30 minuti di agonia. Loro parlano di 8-9 colpi e i colpi, invece, sono 12. Loro dicono che Moro era steso nella Renault e noi riteniamo che Moro fosse appoggiato alla Renault, che stesse fuori dalla vettura.

“Tutto questo – ha poi aggiunto Gero Grassi – ci induce a dire che in via Fani c’erano anche le Brigate Rosse, e che sul luogo della morte invece mancavano le Brigate Rosse. Anche perché ci sono due testimoni: don Fabio Fabbri, assistente del cappellano don Curioni, che descrive l’omicida senza però fare il nome. E poi c’è un professore che addirittura fa il nome. E c’è Cossiga che, in un’intervista televisiva, dice: “Io ho conosciuto chi ha rapito e custodito Moro, non ho conosciuto chi l’ha ucciso”, e aggiunge: “E’ morto poco tempo fa”. Lui ha conosciuto tutti i brigatisti. Mettendo a confronto l’intervista con la rilevazione sulla morte di Moro viene fuori che questa persona potrebbe essere Giustino De Vuono, ‘ndranghetista calabrese”.

Per cui, anche alla luce di questi fatti, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro risulta essere sempre più un evento cruciale nella storia dell’Italia, che segue un’infinità di altri tentativi e manovre antidemocratiche, finalizzati a determinarne una subalternità strutturale, un Paese a sovranità limitata.

Nelle foto: alcuni momenti della conferenza tenuta dall’on. Gero Grassi nei locali del Circolo Acli di Senigallia

 

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