CULTURASENIGALLIA

La miseria, l’ingiustizia e il mare nella Senigallia del dopoguerra

La miseria, l’ingiustizia e il mare nella Senigallia del dopoguerra

Il racconto che un protagonista di quegli anni, Alessandro Barucca, detto Lissa nato nel 1934, fa nel suo libro che sarà presentato alla Biblioteca Antonelliana giovedì 24 gennaio e al Circolo del Ciarnin venerdì 25

SENIGALLIA – “Se avrete la fortuna di conoscerlo, per prima cosa stringetegli le mani. Saranno loro a raccontarvi la sua vita. Mani forti, callose, deformate dallo sforzo continuato di salpare nasse, cime e reti quando non c’erano i verricelli idraulici per farlo. Mani rassicuranti che infondono schiettezza e fermezza, sincerità e forza, amicizia e volontà di non arrendersi mai. Mettetevi poi comodamente seduti perché, quando inizierà a raccontarvi la sua vita, sarà un fiume in piena, inarrestabile. Uno tsunami di storie reali, vissute che vi travolgeranno e che non riuscirete più a dimenticare. Le altre tante storie che non sono entrate in questo libro.”

E’ quanto scrive Daniele Palestrini nella postfazione, parole che descrivono bene l’autore de “A futura memoria: la miseria, l’ingiustizia e il mare”. Si tratta di Alessandro Barucca detto Lissa, pescatore e bagnino, poi operaio Sacelit ma sempre testimone critico dei suoi tempi. Il suo libro verrà presentato alla biblioteca Antonelliana di Senigallia, giovedì 24 gennaio alle ore 17.30 e al circolo Fratelli Bandiera del Ciarnin, (Lungomare Da Vinci) venerdì 25, alle ore 18.

Molte delle storie di Lissandrin, raccontate in queste memorie, le ho viste svolgersi in prima persona o sentite raccontare più e più volte dai miei familiari e dai tanti personaggi, la maggior parte suoi parenti, che hanno popolato i luoghi della mia infanzia e nutrito le mie fantasie di ragazzino.” A dirlo è Leonardo Barucca, nella prefazione del libro, e continua: “Posso quindi testimoniare che è tutto vero, che non c’è nulla di inventato o di esagerato nelle pagine che seguono.”

Memorie, quindi che sono una testimonianza preziosa sul novecento, un secolo così travagliato e così ricco, visto attraverso gli occhi, e attraverso l’intelligenza (la facoltà di capire le cose e di ragionarci) di chi occupa i gradini più bassi della società.

Una lettura, come sostiene in una nota al testo Giuseppe Omenetti che “è stata come quella di una fiaba, scritta con affetto e ormai  distacco, comprese le “incazzature” e i periodi più crudi, perché,  dopo tanto tempo, subentrata la vecchiaia, tutto si è fuso e composto nella attuale  personalità del protagonista di cui,  in definitiva, può dirsi che nonostante il periodo difficile in cui gli capitò di nascere ha fatto una bella vita, il cui senso è stato quel  tenere “la schiena dritta”  che, come in tutte le favole, ne rappresenta  la morale e molti altri utili  insegnamenti”.

 

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