Del maiale non si butta via niente: rimane solo l’urlo
Del maiale non si butta via niente: rimane solo l’urlo
E’ stato celebrato il “Lulla Day”, una giornata in cui i giovani di Montefelcino si ritrovano per lavorare le carni, per mantenere i vecchi mestieri
di GIUSEPPE CRISTINI*
MONTEFELCINO – Anche quest’anno è stato celebrato il “Lulla Day”. Una giornata in cui i giovani di Montefelcino si ritrovano per lavorare le carni, per mantenere i vecchi mestieri di Norcino, dove si impara a fare un salame con il lardello e con il budello gentile, dove si prepara il culatello, dove si cuoce artigianalmente una grigliata e dove, naturalmente, si valorizzano i piatti poveri del maiale.
In questa giornata si è parlato anche del futuro dell’agricoltura nella provincia di Pesaro Urbino Ma io direi anche dell’intera regione Marche.
Del maiale non si butta via niente dicevamo: anche con il sangue si realizzano preparazioni gastronomiche con il rosmarino e il parmigiano nella versione salata, con lo zucchero e il cacao nella versione dolce.
L’importante è che il maiale sia allevato allo stato brado! “Noi – ci racconta Carlo Pagliari (che insieme al padre Giancarlo è titolare di una attrezzata azienda a Montefelcino ) – regaliamo all’animale una sana alimentazione a centimetro zero: farina fatta di orzo, pisello, favino: tutti alimenti naturali”.
“Naturalmente – aggiunge – la ghianda che non manca mai perché d’estate i suini stanno in mezzo alle querce. Noi alleviamo 15-20 maiali. Non oltre. Ma la qualità che ne esce è assolutamente unica, poiché tutto il percorso produttivo è controllato”.
E poi parlando del grasso animale: davvero il grasso non fa male; purché l’animale sia allevato bene al pascolo e allo stato brado; tra le querce e all’ombra, si nutre in una mangiatoia e mangia le nostre farine e beve la “nostra acqua”.
Ma soprattutto la lavorazione del maiale è uno scambio di opera tra contadini che si danno una mano, si scambiano ore di lavoro, si guardano negli occhi e si raccontano il passato, anche attraverso versioni di piatti, insiti delle differenti famiglie.
“Lavorare in agricoltura è una passione e una voglia di stare all’aperto, ma soprattutto sai cosa mangi, cosa bevi e conosci la filiera: oggi – aggiunge Pagliari -, è soprattutto importante mantenere i giovani in agricoltura e soprattutto è importante tutelare il prezzo minimo dei prodotti”!.
Ma noi ci spingiamo oltre. E chiediamo delle nuove frontiere dell’agricoltura: e sia padre che figlio ci rispondono, che bisogna affidarsi ai prodotti dell’agroalimentare, soprattutto legumi e cereali: il cece, i fagioli, i piselli e le lenticchie.
Il grano da noi è comunque buono e di altissima qualità, però va fuori, e da noi ahimè arriva quello canadese che non sappiamo con quali rischi va a produrre le farine.
Eh come spesso accade con il vino Bianchello del Metauro, così come con la salsiccia nostrana, spesso il prezzo minimo non esiste, spesso si gioca al ribasso facendo il male dell’agricoltura e facendo morire un comparto, che ci nutre doverosamente.
Salvare l’agricoltura, significa salvare l’Italia, fatta di una ricchezza contadina, piena di tradizioni e consapevolezza.
*Narratore del gusto e della bellezza
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