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Il latino continua a resistere nonostante gli attacchi sferrati dalla modernità informatica

Il latino continua a resistere nonostante gli attacchi sferrati dalla modernità informatica

I migliori studenti dei Licei delle Marche si sono incontrati a Senigallia per tradurre una versione

di CAMILLO NARDINI

SENIGALLIA – Il latino, ferro vecchio ormai in disuso, continua a resistere, nonostante tutto, agli attacchi sferrati dalla modernità informatica. L’altro giorno, i migliori studenti dei Licei delle Marche si sono incontrati presso Liceo “E. Medi” di Senigallia per tradurre una versione di latino. Un’operazione banale, al limite della inutilità – secondo il pensiero di molti – . Eppure, non solo lo hanno fatto, ma incredibilmente si sono impegnati per più di tre ore, con grande partecipazione emotiva. E se qualcuno pensa che lo abbiano fatto in vista di un premio rilevante, si sbaglia di grosso, perché – pensate – l’unico premio a tanta fatica dovrebbe essere una semplice corona d’alloro confezionata con qualche ramo appena preso da un albero. E allora, come spieghiamo questa partecipazione? Come spieghiamo la propensione dei Manager d’Azienda a selezionare ragazzi che abbiano studiato il latino e greco?

Chi non è interessato a questo discorso, smetta di leggermi e vada a divertirsi. È domenica, è una bella giornata. Vada al mare. Non perda tempo qui.

Partiamo dalla versione che i ragazzi hanno tradotto. È un’interessante lettera che Seneca spedisce al suo amico Lucilio. Per comodità di tutti, la riassumo in breve:

“Caro Lucilio, lo so bene che è innato in noi l’amore del nostro corpo, ma non bisogna esserne schiavi. Credimi, se amiamo il nostro corpo più del necessario, saremo continuamente tormentati dalle preoccupazioni. Detto questo, però, cerchiamo di evitare i disagi più temibili. Questi, se non sbaglio, sono tre: la povertà, le malattie, la violenza dei più forti.

Tra questi tre mali, ad atterrirci maggiormente è la minaccia di un uomo potente, poiché si presenta con grande strepito e fragore. La povertà e le malattie, si insinuano silenziosamente e non spaventano, perché non li vediamo e non li sentiamo giungere. Il male che ci viene da un potente, invece, arriva con un grande apparato: ferro, fuoco, catene, branchi di fiere per fare scempio delle vittime. Pensa al carcere, alla croce, al cavalletto, all’uncino, al palo ficcato nel corpo fino a uscire dalla bocca, alle membra lacerate dai carri lanciati in direzioni opposte, alla tunica intrisa e intessuta di materiale infiammabile e a tutte le torture che la ferocia umana ha escogitato.

Non c’è, perciò, da stupirsi se un male che ha un apparato raccapricciante spaventa tanto. Infatti, un carnefice ottiene di più se mette in mostra molti strumenti di tortura (spesso, lo sappiamo bene, un condannato, che avrebbe resistito al dolore, soccombe alla vista degli strumenti).

Cerchiamo, dunque, di tenerci lontani dai mali. Un nocchiero temerario sfida il vento minaccioso che sconvolge il mare. Un nocchiero prudente, invece, chiede, a chi conosce il posto, la direzione delle correnti e tiene la rotta lontana da quella zona nota per i suoi vortici. Solo la saggezza può mostrarci come comportarci; è comunque sempre difficile tenere una giusta via di mezzo.

Quel che posso dirti è che il saggio, in ogni cosa, guarda al percorso, non all’esito.

Se uno è avido della ricchezza, passerà le giornate a temere di perderla. E così finisce che non gode di questo bene, perché gli dà preoccupazione. Cerca il modo di accrescerla; e dimentica di farne uso. Insomma da ricco padrone diventa un povero ragioniere.

Stammi bene, il tuo amico Seneca”.

A cosa serve a noi, oggi, aver letto questa lettera tirata fuori dalla sua rinsecchita busta dopo duemila anni? A nulla. Apparentemente.

Eppure, in questa “cinema mentale” (che oggi chiamiamo post o app o link o sms) qualcosa si è mosso dentro di noi, nel nostro “sottosuolo” di dostoevskijana memoria, e potrebbe anche andare a finire che una lettera di un lontano passato possa essere di consolazione ai dolori di un’esperienza presente. Chi ha letto U. Eco e W. Iser sa bene che un qualsiasi processo di lettura apre continuamente ulteriori orizzonti al lettore. “I vari accostamenti” infatti “di venti caratteruzzi sopra una carta sono un’invenzione stupenda, perché trasformano un’epistola in un cavallo: un mezzo di trasporto che, al trotto o al galoppo, secondo il percorso che deve compiere, trova il modo di mettere in comunicazione persone distanti per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo” (e così vi ho messo in tavola, per colazione, Eco, Iser, Seneca, Galileo e Calvino di “Lezioni americane”). E, per chiudere: perché amiamo la vita? Perché la viviamo non solo come avventura esistenziale e viaggio spirituale, ma anche come percorso fisico. In questo amore per la vita (non ce ne rendiamo conto, ma è così) l’intellettuale francese Pierre Hadot, nel suo saggio “L’insegnamento degli antichi, l’insegnamento dei moderni” ci invita a riconoscere l’eredità del socratismo: Socrate è il saggio che sopporta con altrettanta grazia la condanna a morte e i capricci di sua moglie; è il saggio che fa la guerra per difendere il suo paese ma anche gioca con i bambini.

Nella foto: la premiazione dell’edizione 2017

 

 

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