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“L’Unione dei Comuni è solo il primo passo per arrivare ad una grande fusione?”

“L’Unione dei Comuni è solo il primo passo per arrivare ad una grande fusione?”

Ma per il Forum dell’Onda del MoVimento 5 Stelle di Senigallia “le libertà comunali sono da considerarsi beni culturali immateriali e principio di biodiversità antropica. In nessun modo vanno dissipate”

SENIGALLIA – Pubblichiamo oggi la seconda parte dell’intervento, sull’Unione dei Comuni “Le Terre della Marca Senone”, del Forum dell’Onda del MoVimento 5 Stelle di Senigallia.

“In linea di principio, nessuno di noi è contrario a che i Comuni possano collaborare tra di loro. Ma solo se le cose sono fatte bene si possono sperare buoni risultati. E questa unione di sette Comuni chiamata “Le Terre della Marca Senone”, approvata di recente, non è davvero una cosa fatta bene.

Riprendendo quanto scritto nel primo articolo, continuiamo con il nostro ragionamento.

Tuttavia, se ci fossero efficienza e risparmi si potrebbe…

Lo scopo sarebbe quello. Lo dice anche lo Studio di Fattibilità che è stato sottoposto ai rispettivi consigli comunali per convincerli a unirsi. Ma che documento è? Come ormai ci hanno abituato, non si sa nemmeno chi l’ha scritto (una università, un centro studi, un ufficio della pubblica amministrazione, un funzionario, un astrologo, che diamine!), il che in un passaggio così importante non depone a favore. Tra i tanti pregi che ha, la politica non ha mai avuto quello dell’obiettività e il prestigio della competenza nelle materie non giuridiche.

Lo “studio”, infatti, nel chiarire gli scopi, afferma che “dal loro apparire le Unioni si sono dimostrate forma organizzativa ottimale per una più efficiente cooperazione”. In base a quali dati, please? Se il documento fosse un vero studio, presenterebbe numeri e calcoli precisi a prevedere la minore spesa, per esempio, di un servizio Suap condiviso fino ad Arcevia; di ogni funzione o servizio che si intende condividere la convenienza va dimostrata con le cifre. Qui, invece, efficienza e risparmi sono solo promessi, ma non spiegati nel modo, nel tempo, nella quantità; non solo non presenta nessuna seria e approfondita valutazione delle funzioni che dovrebbero essere gestite in modo associato, ma nemmeno le individua. Si leggono frasi come “Possono essere conferite funzioni…” Ma le funzioni che si intendono gestire in modo associato bisogna esplicitarle prima, proprio come motivazione dell’Unione da stringere. Altrimenti l’Unione è fine a se stessa, ossia solo un’operazione politica. Cos’altro significa l’articolo 7 comma 5 delle bozze dell’Atto Costitutivo e Statuto, dove è scritto che “le funzioni in materia di servizi ulteriori vengono rese efficaci dall’approvazione del Consiglio dell’Unione”, se non che sarà l’Unione a decidere perché esiste e cosa deve fare? Non avesse una simile Unione un’impronta così tanto Sovietica (l’istituzione determina gli istituiti) sarebbe cosa da riderne.

Ho sentito che ci sono esperienze.

Sì. A differenza dello Studio di Fattibilità, la Corte dei Conti fornisce i dati. Quelli che può, perché, analizzando i conti consuntivi del biennio 2014 – 2015, deve accorgersi che quasi la metà (il 45%) delle Unioni (allora erano 501) non ha  ottemperato all’obbligo di inviarli; e questo la dice lunga sul senso meramente strumentale che la politica corrente attribuisce all’Unione dei Comuni. Sulla scorta di un campione dei consuntivi pervenuti, la Corte provava a fare il punto della situazione. Per parlare di risparmi, sarebbe necessario che all’aumento della spesa delle Unioni corrispondesse una minore spesa dei Comuni a causa delle funzioni e dei servizi delegati. Qui invece, al netto dei costi di stabilizzazione, rispetto all’esercizio precedente i consuntivi campionati segnavano un + 8,05% per le Unioni e  un corrispondente – 2,6 % per i singoli Comuni. Sono 5,45 punti di disavanzo. Mica tanto bene.

A tal proposito, la Corte coglie l’occasione per sottolineare la necessità che il legislatore si decida per una scelta chiara circa il modello preferibile in relazione agli obiettivi veri della spesa, della semplificazione e della razionalità nei servizi ai cittadini; e anche riguardo agli incentivi chiede se non sia una migliore cosa che  vadano commisurati con i risultati del risparmio che se ne potrà ottenere.

È dunque tutta un’operazione politica?

Senz’altro; perché, vede, ce ne sarebbero di cose da mettere insieme per motivare i Comuni alla collaborazione: gestione finanziaria, servizi pubblici compresi i trasporti, catasto, urbanistica ed edilizia, protezione civile, rifiuti, servizi sociali, appunto, edilizia scolastica per la parte spettante, polizia municipale, anagrafe, ufficio elettorale e  infine servizi di statistica. In realtà, però, i Comuni sembrano piuttosto restii a cedere all’Unione servizi e funzioni, almeno quanto sono invece spediti nel volerla costituire. A loro interessa disporre di una strumento che corrisponda ai propri orizzonti di potere.

Di per sé il fatto che le Unioni siano un’operazione politica non è riprovevole; quando poi vai a vedere come prevedono le ripartizioni, però, l’Unione assume l’aspetto della sopraffazione. Di quella più importante abbiamo detto: il Comune dei Comuni allontana i luoghi delle decisioni dal controllo diretto dei cittadini; in questo modo la politica si fa sempre più burocratica e meno partecipativa, alla faccia di Gaber che canta. In quanto alla rappresentanza, si vede bene come le maggioranze prevalenti non intendano lasciare alle minoranze che uno spazio minimo e marginale.

Dureranno?

Veramente l’esperienza insegna che le Unioni non sono luoghi da luna di miele. Sono instabili e litigiose; e il perché non è difficile da spiegare: un sindaco può trovarsi in minoranza rispetto alla guida politica dell’Unione, e il suo isolamento  tradursi in resistenza oppure in voglia di venire via. Non solo: ogni sindaco, ogni candidato cercherà di adoperarsi per il bene dell’Unione, ma più ancora lo farà per quella del proprio comune, dal momento che i suoi elettori sono lì, non nell’Unione. Per questo le norme di accesso tendono a murare la scelta fino a renderla più difficilmente revocabile: un minimo di cinque anni. Da ultimo – ma forse bisognava metterla al primo posto, si indovina la nascosta convinzione che le Unioni siano fatte apposta per arrivare alle fusioni. Questo secondo noi sarebbe un approdo non desiderabile: tanto più in tempi di uniformamento e globalizzazione, le libertà comunali sono da considerarsi beni culturali immateriali e principio di biodiversità antropica. In nessun modo vanno dissipate.

Ci sarà modo di correggere queste storture e mettere in salvo la parte che vale?

Nel caso dell’Unione dei Comuni “Le Terre della Marca Senone”, a parte il nome, si può fare ricorso amministrativo; ed è quello che faremo se vi troveremo vicini. Perché sempre teniamo presente il principio che “chi vuole arrivare primo corre da solo; ma chi vuole arrivare lontano, cammina insieme agli altri”.

2) fine

 

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