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Urbino e la protezione degli Ebrei: nel “Giorno della Memoria” corre l’obbligo di ricordare le persone colpite dalle leggi razziali del 1938

Urbino e la protezione degli Ebrei: nel “Giorno della Memoria” corre l’obbligo di ricordare le persone colpite dalle leggi razziali del 1938

Urbino e la protezione degli Ebrei: nel “Giorno della Memoria” corre l’obbligo di ricordare le persone colpite dalle leggi razziali del 1938di ERMANNO TORRICO

URBINO – Nel “Giorno della Memoria” corre l’obbligo di ricordare gli urbinati di origine ebraica colpiti dalle leggi razziali del 1938. Il loro censimento, trasmesso il 23 agosto dal podestà Paci alla prefettura, registrava trenta nominativi comprensivi di dodici nuclei familiari che risiedevano tutti in via delle Stallacce (2) e in via Mazzini (8) esclusi  quelli di via Veterani (l’antica giudecca, già via dei  Merciari) e di Borgo Mercatale.

Forse pochi sanno che quelle leggi aberranti causarono anche l’allontanamento dalla nostra Università di tre docenti di prim’ordine come Cesare Musatti, il padre della psicoanalisi italiana, di Isacco Sciacky, originario si Salonicco, già allievo di Lamanna e vice-preside della appena istituita Facoltà di Magistero, e di Renato Treves, il fondatore della sociologia giuridica.

Sciacky, che era sionista, nel 1939 emigrò in Palestina e dopo il 1948 ricoprì importanti incarichi  nel settore dell’educazione e della giustizia nel governo dello Stato di Israele. Anche Treves emigrò, ma in Argentina. Qui, all’università di Tucuman, con Rodolfo Mondolfo e Gino Germani, contribuì a fare di quella università un centro di cultura democratica e di umanesimo socialista.

A proposito di quanto accaduto, Carlo Bo ha scritto di  “un tempo di vergognosa violenza e di oltraggio all’uomo. Ricordo molto bene – racconta –  quel periodo, soprattutto ricordo il giorno in cui il professor Musatti fu chiamato dal rettore di ritorno da Roma con la risposta del Ministero: non poteva più insegnare. E’ stato uno spettacolo drammatico: l’illustre collega era stato distrutto. Quello però fu soltanto l’inizio di una guerra lunga e sempre più feroce. Tutto questo avveniva poi nella nostra città  così ricca di spirito fraterno e dove gli ebrei avevano contribuito a nutrire la memoria della libertà”.

Ai 30 urbinati di origine ebraica  registrati nel novembre del 1938, se ne aggiunsero poi  nel periodo della guerra, tra il 1943 e il 1944,  alcune decine comprendenti ebrei originari della città e altri che vi erano sfollati. Circa la metà di questi erano stranieri,  in gran parte apolidi, provenienti da Trieste e di nazionalità croata, greca, bulgara, turca e austriaca. Alla fine del 1943 erano 67 gli ebrei presenti in Urbino, la maggior parte dei quali residenti nel centro storico o nelle campagne circostanti.

Attorno a loro si sviluppò una generale e straordinaria solidarietà, testimoniata dalla assenza di delazioni, per evitare che fossero consegnati dai repubblichini ai tedeschi  per essere deportati nei campi della morte. Tutti furono protetti e nascosti in case private e in conventi e tutti ebbero salva la vita ad eccezione di Arturo Neisser, apolide berlinese di 68 anni. Il Neisser da Urbino era risalito fino a Sondrio, forse per tentare un difficile passaggio in Svizzera, ed era stato carcerato a Milano. Condotto successivamente al campo di raccolta di Bolzano-Gries, fu tradotto ad Auschwitz e ucciso al suo arrivo il 28 ottobre.

Tra i tanti che  si distinsero nel prestare aiuto agli ebrei, ma anche ai partigiani e ai prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento, vanno ricordati oltre a  don Gino Ceccarini, i sacerdoti don Dante Lucerna,  don Adelelmo Federici, don Gino Loppi e don Pietro Moneta. E inoltre: le suore agostiniane del convento di Santa Caterina; l’assistente carceraria Concetta Ceccarini Logli; gli impiegati comunali Luigi Micheli e Carlo Paolucci che fornirono documenti falsi e avvertivano dei probabili arresti decisi dalla Guardia nazionale repubblicana; il dottor Severino Baiardi, medico delle carceri e il dottor Aurelio Caruso, chirurgo dell’ospedale civile.

E tuttavia anche Urbino ebbe i suoi ebrei deportati. Si tratta dei 13 ebrei, quasi tutti stranieri, catturati a S. Angelo in Vado nel rastrellamento del 12 agosto 1944 effettuato dal comando tedesco e prelevati dall’ospedale civile di Urbino. Trasferiti  a Forlì furono qui fucilati nel campo di aviazione tra il 5 e il 17 settembre.

Nel “Giorno della Memoria” il nostro ricordo vada particolarmente a loro e a quegli urbinati che fecero di tutto per salvarli in nome dei valori di umanità negati dal grottesco “Manifesto della razza” e dalla follia criminale dei campi della morte, diretta conseguenza dell’ideologia nazista e fascista che da un lato si tende a minimizzare mentre la storiografia revisionista e negazionista continua senza vergogna la sua attività di mistificazione e di falsificazione.

 

 

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