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Presentato il libro di Elena Turchi “Antonio Abati un poeta satirico nella Senigallia del Seicento”

Presentato il libro di Elena Turchi “Antonio Abati un poeta satirico nella Senigallia del Seicento”

Presentato il libro di Elena Turchi “Antonio Abati un poeta satirico nella Senigallia del Seicento”di VINCENZO PREDILETTO

SENIGALLIA – Uno stimolante e valido evento culturale si è svolto, il primo dicembre alle ore 17,30 nella Sala conferenze del Palazzetto Baviera, grazie alla presentazione del libro di Elena Turchi “Antonio Abati un poeta satirico nella Senigallia del Seicento”, pubblicato dalla locale Ventura Edizioni.

Il dott. Donato Mori -storico dell’arte e socio della Deputazione di Storia Patria – ha presentato l’interessante ed articolato volume con efficace eloquio e la consueta precisione  di fronte ad un pubblico numeroso di appassionati e cultori di storia ed arte. Dopo i brevi interventi dell’Assessora alla cultura Simonetta Bucari, dei consiglieri Mauro Pierfederici e Maurizio Pierini ed il contributo critico del Sindaco di Gubbio (città natale di Antonio Abati), la giovane e brillante autrice del volume, la dott.ssa senigalliese Elena Turchi, ha presentato sinteticamente il difficile lavoro di ricerca e riscoperta di questo poeta e prolifico scrittore del Seicento, soffermandosi sugli ultimi anni di vita trascorsi a Senigallia e sulla scoperta dell’autore dell’unico ritratto noto del poeta riprodotto in copertina. Inoltre, insieme a Donato Mori, Elena – la quale ha conseguito nel 2011 presso la facoltà di Lettere dell’Università “Carlo Bo” di Urbino la laurea specialistica in Tradizione e Interpretazione dei testi con una tesi di ricerca proprio su Antonio Abati – ha fatto assaporare al pubblico alcuni sonetti del poliedrico poeta  satirico (Gubbio, 1600 circa – Senigallia, 1667).

Ecco in sintesi il discorso introduttivo di Donato Mori che ha catturato l’attenzione della platea:

“350 Anni fa, tra il 16 e il 17 ottobre 1667, un certo Antonio Abati, nobile ultrasessantenne, giaceva sul catafalco nella chiesa senigalliese della confraternita del Rosario, vestito con saio e rocchetto di quel devoto sodalizio, vegliato dalle preghiere miste alle lacrime di confratelli, amici e conoscenti, mentre le tremule fiammelle dei ceri illuminavano come uno spettacolo barocco il sacro tempio del 1584 e soprattutto la Madonna col bambino, circonfusa di luce dorata, che, dalle nubi sorrette dagli angeli, dona la corona del Rosario a S. Domenico, genuflesso sulla terra tenebrosa, dipinta dall’urbinate Federico Barocci per l’altare maggiore nel 1589-93. Poi, nel pomeriggio, lungo il corso si snoda una lunga, solenne processione, formata da tutti gli abitanti di Senigallia, nobili e popolani, con grossi ceri per accompagnare l’illustre defunto fino all’estremità opposta della principale via cittadina, nella vecchia Cattedrale, dove, al termine delle esequie, compianto e omaggiato con componimenti poetici lasciati sul cataletto, viene calato nella fossa sepolcrale dei Signori Isaia davanti alla cappella della Madonna della Speranza. Costui era un poeta, soprattutto satirico, esperto di letteratura e del mondo, che dalla nativa Gubbio, allora nel Ducato di Urbino, aveva dimorato in varie città italiane e alla corte viennese, percorso Francia e Fiandre, stretto amicizia con personalità come l’imperatore Ferdinando III d’Austria, l’arciduca Leopoldo d’Austria, il cardinal Flavio Chigi e l’artista Salvator Rosa e governato alcune città pontificie tra le quali Recanati, finché, stanco delle atmosfere cortigiane e dei civici palazzi, aveva ottenuto dalla Granduchessa Vittoria Feltria Della Rovere come grazia speciale l’usufrutto di un terreno con casa padronale detto “La Stelletta” tra Senigallia e Scapezzano, dove trascorse in serenità gli ultimi cinque anni di vita. Senigallia allora non faceva più parte del glorioso ducato roveresco, estinto nel 1631, ma aveva mantenuto la sua importanza nella nuova legazione pontificia di Urbino; era una città in crescita demografica di circa 5000 abitanti tra centro e campagna, con un territorio che inglobava i castelli di Scapezzano, Roncitelli, Ripe e Monterado, nonché la Terra di Tomba (Castelcolonna); una città portuale in crescita anche economica grazie agli otto giorni dell’antica Fiera della Maddalena, che richiamava mercanti da tutta Europa e dall’intero bacino mediterraneo. Una città protetta da una robusta cinta muraria pentagonale con conventi, ricche confraternite e più di dieci chiese, ornate da dipinti di celebri pennelli come Barocci, Guercino e Tiarini (per citare solo i contemporanei di Abati); una città con numerose famiglie nobili, proprietarie di vasti terreni gestiti dai coloni a mezzadria, abbellita da maestosi palazzi, tra i quali spicca quello del governo, dove all’epoca si svolgevano anche feste e spettacoli teatrali e musicali come i melodrammi. Tuttavia era pure una città che doveva fare i conti con Venezia e Ancona, sue accanite rivali commerciali, con la peste e con le frequenti scorrerie dei pirati soprattutto montenegrini, che rapivano i pescatori e assalivano le case padronali isolate, come raccontano le cronache e anche i versi del nostro poeta, terrorizzato dall’idea di venire impalato dai Turchi.

Questo libro della mia carissima amica Elena Turchi, che ho l’onore e il piacere di presentare, ricostruisce appunto le vicende biografiche e poetiche di Antonio Abati – oggi pressoché sconosciuto ai non specialisti – riservando particolare attenzione proprio all’ultimo quinquennio trascorso nella nostra amata Senigallia, quello finora mai studiato. La recentissima scoperta di preziosi documenti manoscritti inediti ha permesso, infatti, alla studiosa, appassionata di storia locale e di poesia, di farci conoscere con esattezza la data in cui si ritirò a vita privata e prese possesso de “La Stelletta”, dove si trovava quel podere, la vita che vi conduceva descritta nei versi, i beni artistici e letterari lasciati in eredità, come ad esempio il suo unico ritratto oggi noto, in quale abitazione chiuse gli occhi, come si svolse il funerale, i nomi dei nobili partecipanti e non da ultimo le date esatte di nascita e di morte, finora vaghe e approssimative.

Il testo della Turchi – che per gli amanti della poesia barocca seicentesca costituisce anche una piacevole antologia con diversi componimenti nati proprio tra i profumi della campagna senigalliese –nella seconda parte analizza con acume filologico la genesi e le influenze della sua più importante opera satirica, Delle Frascherie di Antonio Abati fasci tre, stampata la prima volta a Venezia nel 1651, già argomento della tesi di filologia italiana con la quale l’autrice si è laureata a pieni voti in Lettere moderne a Urbino nel 2011.

Come storico dell’arte, socio della Deputazione di Storia Patria per le Marche, concludo ringraziando Elena Turchi perché, scrivendo con passione questo libro, ha “esumato” uno dei tanti personaggi che hanno camminato per le strade di Senigallia e che, dopo essere scesi nel sepolcro, sono stati immeritatamente dimenticati.”

Infine, il dottor Antonio Maddamma, scrittore esperto di storia locale, ha offerto al pubblico alcune notizie storiche e genealogiche sulle famiglie nobili residenti a Senigallia nello stesso periodo in cui vi abitò il poeta eugubino. A questo punto non possiamo che complimentarci vivamente con la brava e talentuosa Elena Turchi,non solo in qualità di appassionata ricercatrice di storia locale e di fotografa amatoriale,ma anche per la sua presenza attiva e concreta nell’associazionismo culturale della città roveresca.

(Le foto sono di Susan Vici)

 

 

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