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Leonardo Badioli: “I diritti al futuro ed il lavoro sempre più precario a Senigallia”

Leonardo Badioli: “I diritti al futuro ed il lavoro sempre più precario a Senigallia”

di LEONARDO BADIOLI

SENIGALLIA – A una settimana dalla kermesse di cinque giorni che La Città Futura ha voluto dedicare ai “Diritti al Futuro”, finita la festa, rimane la città così com’era. Non c’è bisogno di cercare negli anfratti: basta fare una vasca per il Corso tenendo gli occhi aperti per vedere quello che i dibattiti sotto il tendone non hanno saputo cogliere in nessun modo: una città senza “Diritti al presente”. Facciamo questa vasca e guardiamo non tanto le vetrine – in realtà sempre più standardizzate e misere; non le merci in esposizione: guardiamo le persone. Non glielo leggiamo in faccia, perché ci sorridono; e non sorridono soltanto a noi, ma anche, con ironia, alle quattro telecamere interne con le quali il proprietario del negozio può controllare con un monitor da casa “la fedeltà del dipendente”. Lui guarda e subito dopo l’uscita del cliente chiama:

“Perché non gli hai venduto niente? Perché non gli hai venduto quello dove abbiamo più margine? Possiamo immaginare con quale leggerezza e disinvoltura si può lavorate sotto quegli occhi multipli di ragno. La legge che permette le telecamere è il Jobs act di Renzi, ma l’invenzione non è nuova e non è nemmeno sua: risale al 1791, quando Jeremy Bentham concepì il “Panopticon”, modello di edilizia carceraria che avrebbe consentito a un unico sorvegliante di controllare tutti.

Diritti al futuro, avete detto? Intanto un’avvertenza al presente: se siete un gruppo di persone, supponiamo ragazzi spensierati, frenate l’entusiasmo e non entrate tutti insieme per vedere qualcosa: magari nessuno ve lo ha detto, ma il lavoro delle commesse, soprattutto nel franchising, viene valutato in percentuale sul numero delle persone che entrano, registrato alla porta elettronicamente. Ogni volta che entrano in frotte la commessa trema; adesso anche i minori fatturati sono diventati giusta causa per il licenziamento. Tutto questo sotto un governo di centro-sinistra.

Ho detto commessa al femminile perché in genere chi serve il cliente (e fa mille altre cose) è una donna. Per questo spesse volte il confronto è difficile da fare; resta fermo però che le commesse del Corso, in quanto donne, vengono pagate il 30% di meno dei maschi, come è nella media italiana. Diritti al futuro, avete detto? Forse non per il Corso, ma in fabbrica per certo, ci sono donne che vanno in maternità e sono chiamate lo stesso a lavorare in orari invisibili; poi, fatto il pupo e uscite dal puerperio, vengono licenziate.

E poi le stagiste. La stagista si trova lì per imparare: non è stata una buona idea (della sinistra) quella di pagare il tirocinio, perché con la scusa di due euro all’ora adesso le fanno fare il lavoro pieno.

In realtà la loro vera paga è la speranza – probabile illusione – di sostituire in breve tempo le commesse che ci sono adesso. Da qui si intende bene quale armonia possa regnare in un negozio, e quanto un senso di precarietà sia avvertito da tutto il personale, anche quello a contratto.

Il posto di lavoro, per quanto mal pagato, è per molte vitale. Conosco più di un caso in cui il dipendente ha fatto un ciclo di chemio (di quelli che non fanno cadere i capelli) di nascosto, e intanto ha continuato a lavorare per non perdere il posto.

Ci sono commesse che, pur praticando un’attività continuativa, sono state pagate con i voucher. Adesso li hanno aboliti: speriamo almeno che la quota contributiva che lo stato ha trattenuto all’atto della conversione del voucher in euro non vada perduta.

Tutto questo succede per il Corso (come in ogni altro luogo del commercio in modo piuttosto generalizzato), e ci scusino quei pochi che rispettano il poco che resta da rispettare. Certe cosa una sinistra di governo le dovrebbe sapere e, sapendole, le dovrebbe impedire. Al termine del Corso, però, oltre il ponte del Porto, una sinistra tagliata su misura del divano conversava amabilmente di futuro.

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