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La provincia marchigiana e gli scacchi nel romanzo di Paolo Fiorelli “Pessima mossa, Maestro Petrosi”

La provincia marchigiana e gli scacchi nel romanzo di Paolo Fiorelli “Pessima mossa, Maestro Petrosi”

  La provincia marchigiana e gli scacchi nel romanzo di Paolo Fiorelli “Pessima mossa, Maestro Petrosi”di LUCA RACHETTA

Eppure no, doveva pur esserci una giustificazione per tutto il tempo e  la fatica che aveva sacrificato al Nobil Giuoco. L’Esprit Géométrique? La Fede nella Logica? Questi argomenti non lo convincevano più. Perché, poi, creature irrazionali come gli uomini avrebbero dovuto amare un gioco così razionale? È proprio l’irragionevolezza che permette loro di vivere, pensava. Che li aiuta a ingannare l’infelicità. In fondo, se fossero totalmente razionali, molti si sparerebbero un colpo subito. No, c’era qualcosa di più profondo e oscuro; qualcosa che aveva a che fare con l’inconscio.

Il Gran Maestro di scacchi Achille Petrosi è grasso e sgraziato, ha un angioma sopra il naso che proprio non sopporta e vorrebbe coprire con un ciuffo, ma non può farlo a causa dei suoi capelli ricci, ingovernabili e assai diradati sulle tempie; ama la posizione periferica della sua casa rispetto al centro cittadino e l’intimità della sua camera degli scacchi, dove tutto rimane sempre uguale; non è infine particolarmente sicuro di sé, a parte nel gioco in cui eccelle. Davanti alla scacchiera difatti è un campione e non vuole vincere per l’abbandono del rivale, il Conte Vitti: segno di etica sportiva, ma anche dell’orgoglio di chi sa di poterla spuntare facendo leva sulle proprie capacità e sulla propria esperienza. Il mondo degli scacchi è il regno della logica, in cui Achille Petrosi riesce a tenere sotto controllo il tempo, a ridurre i rischi dell’aleatorio e a raggiungere ottimi risultati sfruttando le doti che la natura gli ha elargito con generosità in tale ambito, lasciandolo invece sguarnito di talento quando si tratta di muovere non già pedoni e cavallo, ma quel se stesso grosso e impacciato. Il Nobil Giuoco è l’unica dimensione in cui si sente a proprio agio, che lo compensa dell’imbarazzo provato in altri momenti della vita, per esempio quelli della socialità e del rapporto con l’altro sesso. Investigare brandendo le armi della logica, le stesse usate nel gioco degli scacchi, significa sì sconfinare dalla propria riserva protetta, ma con in mano una mappa dettagliata in grado di farlo orientare nel territorio sconosciuto.  L’alfabeto degli scacchi, con le sue regole e le sue massime desunte dalla prassi, lo stimola e lo guida all’azione, portandolo a rompere gli indugi dopo che qualcosa di strano era successo nella sua amata e inviolabile camera degli scacchi:

Prendi l’iniziativa, ti darà sicurezza, si disse Petrosi mentre saliva la scalinata di marmo che portava al circolo. Rimasticò il vecchio motto scacchistico e s’accorse che era vero: la sola idea di passare all’azione, anziché subire il corso degli venti, lo rinfrancava.

Quella sorta di propensione monomaniacale che per la madre lo condurrà alla rovina (“Quando verrà il tuo ultimo giorno e ti renderai conto che hai passato la vita a giocare a scacchi, cosa dirai? “) costituisce il suo punto di forza nel corso di un iter investigativo in cui finisce con il diventare, agli occhi del magistrato Monti, il possibile colpevole dell’omicidio del Conte Vitti. Un’indagine che si traduce per Achille Petrosi in una conquista di consapevolezza e di autostima, al punto che, quando la stessa domanda rivoltagli dalla madre viene riformulata dal giudice Monti, che lo definisce per di più infantile, egli ha stavolta la risposta pronta: “Ma sa… vivere come un bambino è una delle cose più profonde che un uomo possa fare.”.

Urbavia, località fittizia dove inizia e si conclude la vicenda (che sconfina fino a Cannes), richiama il pesarese ed evoca Urbania (o Urbino). Una maschera che non nasconde, ma che vuole alterare i tratti di un luogo reale quel tanto che basta per comunicare al lettore che esso non deve essere preso alla lettera, che si tratta insomma di una versione soggettiva dello stesso, ora liricizzato, ora amorevolmente preso in giro, e talvolta anche oggetto di critica benevola. Ecco perché, chiamando in causa le arti figurative, il violinista della Vitebsk trasferita su tela da Chagall diventa verde e le proporzioni tra cose, animali e persone procedono in direzione diversa rispetto alla realtà: l’adozione di soluzioni inverosimili applicate a un contesto reale è il segno di un’appartenenza ma anche di una dissociazione, dato che la versione resa dall’artista, o scrittore che sia, carica l’immagine del luogo d’origine dei segni del proprio vissuto e della propria fantasia creativa.

Ironia, dialoghi vivaci e brillanti e un taglio umoristico con cui vengono tratteggiate le figure umane che entrano in gioco nel racconto stemperano la drammaticità del caso di omicidio e fanno confluire in questa linea guida le storie dei personaggi (dai membri della Confraternita degli scacchi alla strana task force che coadiuva l’indagine di Petrosi), dei quali ci rimane qualcosa di più del semplice ruolo da loro ricoperto nel teatro del giallo rappresentato. In particolare del Gran Maestro di scacchi Achille Petrosi ci rimane la sua arguzia, ossia la logica coniugata a quel tanto di fantasia e di inventiva che, sia di fronte a una scacchiera sia nel corso di un’investigazione, innescano l’incendio dell’intuizione. Perché “Non tutti gli artisti sono scacchisti. Ma tutti gli scacchisti, senza eccezione, sono artisti”.

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Paolo Fiorelli, Pessima mossa, Maestro Petrosi, Sperling & Kupfer, 2015

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L’autore

Paolo Fiorelli è nato a Milano nel 1971, ma è cresciuto nelle Marche, tra Pesaro e Urbino. Ha tre grandi passioni: i libri, gli scacchi e il cinema. Di quest’ultimo scrive ogni settimana per il giornale Tv Sorrisi e Canzoni.

 

 

 

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