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La via del giallo nelle Marche: Il custode delle gesta di Marcellino Marcellini

La via del giallo nelle Marche: Il custode delle gesta di Marcellino Marcellini

La via del giallo nelle Marche: Il custode delle gesta di Marcellino Marcellini

di LUCA RACHETTA

Nella diffusa voglia di riscoperta del proprio territorio, custode di memorie e risposte ataviche che conferiscono sostanza alle proprie radici comunitarie e alla propria identità personale, ben si colloca un romanzo giallo di ambientazione marchigiana come quello di Marcellino Marcellini, Il custode delle gesta. Accanto alle indagini della storia locale e al successo crescente di eventi di rievocazione storica che coniugano brillantemente cultura e spettacolo, possiamo difatti annoverare a buon diritto l’attività di diversi giallisti marchigiani che, calando i personaggi nei luoghi della loro terra d’origine, conducono per mano il lettore a una duplice scoperta: quella del colpevole e quella di un passato non così lontano da un punto di vista cronologico, ma quasi dimenticato per la rapida e radicale trasformazione subita dalla società in pochi decenni. Tale è l’impressione che ci consegna il bel romanzo di Marcellini, sorretto da una trama in equilibrio tra una narrazione coinvolgente, ambientata ai giorni nostri ad Arcevia, e una propensione alla rievocazione disciolta sapientemente nel racconto e da questo veicolata in modo misurato, così che essa non scivola mai in toni elegiaci struggenti e di maniera e si amalgama al fluire della storia, conferendole il colore e l’atmosfera di tempi trascorsi. Emblematico il caso di Baco, un vecchio anarchico che si porta dietro, nella storpiatura del proprio vero nome, “Bakunin”, il segno della sconfitta delle proprie idee e del proprio disagio, sebbene finisca con l’essere “il custode delle gesta” del proprio paese, la memoria storica di piccole beghe familiari e di grandi vicende storiche il cui funereo strascico ancora si stende ad oscurare i cuori delle persone (evidenti i riferimenti all’eccidio di Monte Sant’Angelo di Arcevia del 1944).

Più che dei risvolti propriamente gialli della storia, che è giusto che il lettore scopra autonomamente, ci sembra opportuno parlare dello stile che anima le pagine di questo romanzo e lo consegna, al di là dei tratti che lo riconducono a un genere ben definito, al più ampio novero dei libri ben scritti.

«Con la “Strada del Coppo”, quello era il nome del sentiero oggetto della contesa, Elio Bravi viveva un rapporto intenso avendovi lasciato un po’ di sangue in gioventù. Accadde quando aveva sedici anni e si trovava sopra un carro tirato da un paio di bestie, colmo di casse di frutta, con il nonno che seguiva dietro stancamente. Quando si alzò a sistemare un recipiente, una pietra sul tracciato provocò un contraccolpo fino a farlo barcollare e cadere faccia avanti proprio ove, insidioso, si trovava un fil di ferro. Lo squarcio sul viso fu profondo e la famiglia pensò subito al tetano che ne aveva ammazzati tanti. Per dieci giorni le donne del luogo si erano ritrovate a recitare il rosario pregando la Madonna che lo salvasse dall’infezione, finché la Vergine decise di ascoltarle. Del trauma rimase solo uno spiacevole ricordo e un segno evidente sulla gota che sottrasse ad Elio un po’ di bellezza, o gliene aggiunse, se è vero che in gioventù Assunta l’aveva tante volte rincuorato dicendogli che lo sfregio gli donava, che lo faceva più maschio. E a guardar bene, l’aveva persuaso, con l’aiuto di uno specchio, che quella lunga cicatrice correva sulla pelle con l’esatta conformazione della Strada del Coppo, diritta per un lungo tratto poi una curva a secco.  (pag. 30)

Forti ad esempio in questo passo le suggestioni che affiorano dal passato e ci disegnano quadri di un’umanità ingenua ma sincera e solidale, come quella che si stringe attorno al povero Elio dopo l’incidente occorsogli, covando in sé il sentimento che la perdita di una giovane vita sia una perdita non solo per la famiglia, ma per il paese intero e il suo futuro; così come ci sembra poetica e di grande efficacia l’identificazione del tracciato della Strada del Coppo con la cicatrice di Elio, che gli imprime icasticamente sul volto il marchio della propria passionalità e del proprio viscerale attaccamento a quei luoghi.

Un libro, Il custode delle gesta, che rappresenta uno dei primi volumi entrati a far parte di quella speciale sezione del giallo marchigiano che la Fondazione Rosellini  ha deciso di dedicare agli autori della nostra regione, presupposto per iniziative future finalizzate alla divulgazione di opere nate e alimentate dalla cultura del nostro territorio.

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Marcellino Marcellini

Il custode delle gesta

Controvento Editrice, 2015

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Nota biografica

 Marcellino Marcellini è nato in Arcevia (AN) il 17/5/1957. Vive in ancona ove svolge l’attività di avvocato. Appassionato della storia dei Celti, su questo tema, seppur in modo romanzesco, forma l’opera d’esordio, Breviario Gallico, edito nel 2005. Il custode delle gesta (2015) è la sua seconda opera di narrativa.

Sinossi

Quell’anno poi nevicò non poco e la neve oltre a coprire i fondi ammantò le passioni, spense le preoccupazioni,donò giornate benedette di forzato riposo. Con la stagione più indulgente, alla fine di febbraio Elio ebbe una visione notturna, probabilmente un sogno: c’era il passo del Coppo sbarrato con filo spinato, occluso da sacchi di sabbia sovrapposti, presidiato da soldati tedeschi coi mitra spianati, insomma una vera trincea.

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