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Dalla mia casa non si vedeva il mare, di Maura Maioli

Dalla mia casa non si vedeva il mare, di Maura Maioli

Dalla mia casa non si vedeva il mare, di Maura Maiolidi LUCA RACHETTA

Per comprendere il presente bisogna ripercorrere a ritroso il sentiero che ci riporta al passato. Un assunto che vale per lo storico, ma anche per il romanziere. Proprio questa sembra essere la prospettiva di indagine adottata dalla scrittrice fanese Maura Maioli nel suo ultimo romanzo, Dalla mia casa non si vedeva il mare, che racconta uno spaccato del mondo contemporaneo attraverso un dialogo serrato con l’epoca ormai trascorsa incarnata della protagonista, l’anziana signora Dora, e simboleggiata dalla  casa in cui vive e in cui sta organizzando un pranzo per i nipoti, gli unici familiari a lei rimasti. Un ritorno al teatro della propria infanzia e di una parte della propria giovinezza che suscita nei vari personaggi sentimenti differenti, di rifiuto e di nostalgico ricordo, eppure accomunati dalla percezione della distanza incolmabile dal periodo trascorso tra quelle mura e da quei valori atavici che nella loro vita attuale non trovano posto, retaggio di una società ormai tramontata e sostituita da una per certi aspetti diametralmente opposta.

Un ritorno pertanto già fallito in partenza, come quello narrato in alcuni capisaldi della letteratura italiana del Novecento, quali La luna e i falò di Pavese e Conversazione in Sicilia di Vittorini, che ci consegnano le suggestioni di un momentaneo recupero delle origini da parte dell’uomo odierno alla ricerca del mito dell’infanzia, da intendersi tanto come infanzia personale quanto, in senso ampio, come infanzia dell’uomo, radicata nella tradizione avita. Il ritorno e la dimensione mitica sono infatti intimamente legati, al punto che il ritorno può essere soltanto in direzione della dimensione mitica, e di mito non si può parlare senza il ritorno, quell’eterno ritorno teorizzato da Eliade che rappresenta un cuscino di certezze e di punti di riferimento per l’intera comunità.

Il mito, nel libro della Maioli, continua a parlare alla signora Dora e a confermarle che la vita, lungi dall’essere il regno della giustizia e della felicità, racchiude comunque un senso, oscuro ma radicato nella storia dell’uomo. Di questo la generazione precedente la sua non aveva mai dubitato, lasciando in eredità a lei e, idealmente, a tutta la seconda generazione di cui fa parte la casa e il corredo di valori in essa racchiuso. I nipoti della protagonista, la terza generazione, sono animati invece da ciò che rappresenta la matrice dell’uomo contemporaneo, l’insoddisfazione, e hanno così perduto irrimediabilmente la capacità di rassegnazione all’inevitabile, a ciò che sempre è stato e sempre sarà.

La società attuale confina il mito in spazi angusti, vale a dire l’isola del ricordo o l’isola fuori dal tempo della casa della zia Dora, che tuttavia sono contaminati dalla modernità: la badante dell’Est che sostituisce le cure dei familiari, la generazione degli adulti in crisi di identità, che non riesce a trovare nel presente e tanto meno nel passato,  e una quarta generazione, quella dei pronipoti della protagonista, che del mito, già poco significativo per la terza, non avrà neppure il ricordo, dolce o amaro che sia.

Sembra che l’unica conciliazione possibile tra il vecchio e il nuovo sia quella espressa dalla signora Dora nelle ultime righe del libro: “Cosa posso fare di queste radici che esistono solo finché si portano dentro? Strapparle per renderle leggere, rendervi aerei perché fluttuiate trascinandovele dietro, senza sentirne il peso.” Le radici sono importanti, ma non devono dunque essere un intralcio, una pastoia per chi voglia trovare la chiave per interpretare i tempi nuovi.  Dora, la custode del mito, ne riconosce pertanto la fine, seppur salvandone il buono di cui era garante e dispensatore, che ancora può conferire sostanza etica e affettiva agli uomini di oggi, sempre più monadi e sempre meno comunità.

Maura Maioli

Dalla mia casa non si vedeva il mare

Italic Pequod, 2016

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L’autrice

Maura Maioli ha esordito nella narrativa nel 1995, giungendo in finale al Premio Calvino con Le colline del silenzio, a cui il nuovo romanzo idealmente si lega.

Dopo una lunga parentesi dedicata alla traduzione di testi letterari (tra i titoli più noti si segnalano H. Fielding, Che pasticcio Bridget Jones e J. Conrad, I racconti dell’inquietudine), Maura Maioli è tornata alla narrativa pubblicando, sempre per Pequod, Dila e gli altri (2009) e Per un’estate sola (2012), due romanzi di formazione dedicati al mondo giovanile che le sono valsi numerosi incontri con gli studenti attraverso il progetto di Rapsodia “Scrittori nella scuola”.

Con Dalla mia casa non si vedeva il mare Maura Maioli torna al romanzo di memoria, al dialogo sommesso con le proprie radici.

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