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La studiosa Silvia Serini ricostruisce il rapporto tra Alberto Moravia e il cinema

La studiosa Silvia Serini ricostruisce il rapporto tra Alberto Moravia e il cinema

La studiosa Silvia Serini ricostruisce il rapporto tra Alberto Moravia e il cinemadi LUCA RACHETTA

SENIGALLIA – Il bel libro di Silvia Serini ci riporta in un periodo aureo della cultura italiana, quando i grandi autori della letteratura prestavano le loro idee e la loro capacità di raccontare storie al cinema, che restituiva ad un pubblico vasto, spesso con esiti qualitativamente apprezzabili, la versione filmica dei grandi romanzi del nostro Novecento.

Coniugando il rigore metodologico e l’esaustività di un saggio specialistico con lo stile scorrevole e piacevole della buona prosa di taglio divulgativo, questa rilettura storica ci offre la sintesi del fecondo rapporto intrattenuto da Alberto Moravia con il cinema, non solo come fornitore di materiale pregiato per le realizzazioni artistiche di alcuni tra i maggiori registi del secolo scorso, da Vittorio de Sica a Bernardo Bertolucci, ma anche nelle vesti di sceneggiatore, regista e critico cinematografico su testate come “L’Europeo” e “L’Espresso”.

In particolare questa attività di estimatore, studioso e teorico del cinema, che lo portò peraltro alla carica di presidente di giuria al Festival del Cinema di Venezia, non rimase circoscritta a una fase della sua carriera intellettuale, come accadde ad esempio a Luzi e Pasolini, ma si tradusse in una sorta di diramazione laterale del suo impegno letterario, a esso strettamente collegata e, come quello, orientata a perseguire la qualità estetica e un dialogo costruttivo con il pubblico.

Per Moravia, infatti, l’unica vera distinzione tra i generi cinematografici non arbitraria era quella tra i film d’autore e i film commerciali, questi ultimi decisamente prevalenti nel numero e nel successo raccolto presso gli spettatori. Ciò spinse lo scrittore ad affermare che il cinema italiano non contribuiva in modo significativo all’educazione di un pubblico riottoso alla cultura e a quegli scomodi esami di coscienza che di questa sono fondamento e corollario.

Cinema e letteratura sono accomunate dalla vocazione narrativa, in un rapporto di scambio fruttuoso. La suggestione della parola, per Moravia, è meno immediata di quella dell’immagine, ma più profonda e duratura: questo è  a ben vedere il rapporto tra cinema e letteratura, con evidente superiorità della letteratura sul piano della qualità e degli esiti poetici.

“(…) il rapporto fra la letteratura e il cinema consente una circolazione di idee fra le due arti, che, mi pare utile alla seconda, cioè al cinema, il quale, per sua natura, tende a non essere ideologico, ad essere invece puramente figurativo. Ora, la letteratura introduce quel tanto di idee, di novità intellettuali, di cui il cinema ha molto bisogno.”.

Insomma, un parziale ridimensionamento del cinema rispetto alla narrativa da parte di un intellettuale che tuttavia il cinema amava particolarmente, al punto da interrogarsi sulle sue tecniche di realizzazione, sui canali comunicativi da esso percorsi e sulla sua evoluzione in un’ottica diacronica, teorizzando elementi di storia del cinema e di una vera e propria estetica cinematografica.

La critica, sosteneva Moravia, doveva aiutare il potenziale spettatore ad orientarsi nella fruizione del film e fornire l’occasione di un pubblico esercizio culturale. Se la critica letteraria poteva difatti permettersi di non recensire un libro, esercitando una facoltà selettiva e in un certo senso la più potente forma di stroncatura, quella del silenzio, la critica cinematografica aveva invece il dovere di recensire ogni tipo di film, che si rivolgeva ad un pubblico assai ampio e forse più vulnerabile di fronte al fascino dei prodotti commerciali. La misura moraviana era quella della recensione redatta da uno scrittore, che, inevitabilmente, usciva dai canoni del commento specialistico tout court conferendogli lo status dell’articolo di foggia artigianale, piacevole e stimolante alla lettura e, in un certo senso, fruibile anche a prescindere dall’intento di presentare l’opera cinematografica in questione.

Ampio è poi lo spazio che il volume della Serini dedica ai romanzi di Moravia finiti sul grande schermo, da Gli indifferenti a La Noia. In questa sezione del libro l’autrice ricostruisce le dinamiche che, dal testo letterario, hanno portato alla trasposizione filmica di storie, personaggi, ambienti e, in definitiva, della poetica di Moravia. Vengono così sottolineati gli elementi di continuità e di discontinuità tra pagina scritta e pellicola, tuttavia non perdendo mai di vista l’assunto che, indubitabilmente, il film, sebbene tragga il proprio soggetto da un romanzo, rappresenta comunque una realtà a sé stante rispetto al presupposto letterario, facendo esso coesistere il codice comunicativo della parola, debitamente semplificato e sfrondato di eventuali esuberanze stilistiche, con altre forme espressive, come l’immagine e il suono.

Ma perché la produzione di Moravia è stata quasi interamente saccheggiata dai cineasti?

“In relazione al successo, incredibile, della sua opera al cinema sembra più che evidente come la grandezza e l’originalità di Moravia consistano proprio nella straordinaria propensione della sua narrativa a essere cinematografabile.”

Le due componenti della trasponibilità cinematografica dell’opera di Moravia sono senza dubbio visualità e narrativa, ossia una straordinaria efficacia nel ritrarre ambienti e personaggi e una scrittura sobria e asciutta; due condizioni che rendono più semplice il passaggio alla sceneggiatura, che in tal modo mantiene una certa aderenza alla parola e alla poetica dell’autore, caso assai raro nel diuturno e talvolta accidentato rapporto tra letteratura e cinema.

Silvia Serini, Alberto Moravia e il cinema. Una rilettura storica, Aras Edizioni, 2014.

 

Sinossi

Protagonista assoluto della scena letteraria del Novecento, Alberto Moravia lo è stato anche, senza riserve, in ambito cinematografico. Non solo come soggettista, sceneggiatore e appassionato ma soprattutto come critico cinematografico e, anche, come regista. Ma quello nutrito dallo scrittore capitolino verso la “settima arte” fu soprattutto un amore ricambiato. Notevoli nel numero ma non sempre nella qualità furono le tante trasposizioni tratte da suoi lavori – che qui sono state selezionate ed analizzate – le quali confermano, al di là della eterogeneità dei contributi, quanto forte fosse la consonanza tra la scrittura moraviana e la transcodificazione cinematografica.  Alla conoscenza di Moravia, come uomo di cinema oltre che di letteratura, è dedicato questo volume.

 

L’autrice

Silvia Serini è componente del consiglio direttivo dell’Associazione di Storia Contemporanea e della redazione della rivista «Storia delle Marche in età contemporanea». Laureatasi in Storia contemporanea presso l’Università di Perugia, ha pubblicato diversi saggi relativi alla storia politica e sociale dell’Italia contemporanea. Collabora con riviste e istituti di ricerca storica e tiene corsi di Storia contemporanea presso enti pubblici.

 

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